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Epigrafi, Raccolta delle epigrafi de I Cacciatori di Ossa

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view post Posted on 11/11/2020, 10:35     +4   +1   -1
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Soldato

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Pescara

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PROLOGO

Perché tutto ciò diviene vero
In quest'era imminente
In cui gli eroi lasciano solo
Il tintinnio ferrigno dei loro nomi
Cantati dalle gole dei bardi
Io sto in questo cuore silenzioso
Bramando il battito morente
Delle vite ridotte in polvere
E il giudizio bisbigliato
Proclama il passaggio della gloria
Mentre le canzoni si spengono
In echi sempre più fiochi
Perché tutto ciò diviene vero
Le camere e le sale
Si spalancano vuote davanti alle mie grida
Perché qualcuno deve
Dare risposta
Dare risposta
A tutto questo
Qualcuno

L'era imminente
Torbora Fethena


LIBRO PRIMO


Percorsi il sentiero tortuoso fino alla valle
Dove bassi muri di pietra dividevano fattorie e fortezze
E ogni lotto uniforme aveva il suo posto nel disegno
Che tutti gli abitanti del luogo ben comprendevano,
A guidare i loro viaggi e i loro richiami
E offrire una mano familiare nella notte più buia
Per il ritorno alla porta di casa e ai cani danzanti.
Camminai finché non mi fermò un vecchio
Che si raddrizzò dal lavoro con aria di sfida
E sorridendo per scongiurare i suoi calcoli e il suo giudizio,
Gli chiesi di dirmi tutto ciò che sapeva
Delle terre all'ovest, oltre la pianura
Ed egli con sollievo rispose che c'erano città.
Vaste e brulicanti di ogni sorta di stranezza,
E un re e sacerdoti in lotta; e una volta,
Mi disse, aveva visto una nuvola di polvere gettata in cielo
Dal passaggio di un esercito, diretto in battaglia
Da qualche parte, ne era certo, nel freddo sud,
E così appresi tutto ciò che sapeva, e non era molto,
Oltre la pianura non era mai stato, dalla nascita
Ad allora non aveva mai saputo. Perché, a dire la verità,
È così che il disegno si dispiega per gli umili
In tutti i luoghi, in tutti i tempi e la curiosità giace spuntata,
Tronca, anche se usò abbastanza fiato per chiedere
Chi fossi e come fossi arrivata lì e quale fosse
La mia destinazione, lasciandomi a rispondere, con un debole sorriso,
Che ero diretta alle città brulicanti, ma dovevo prima
Passare da lì e tuttavia egli aveva notato
Che i suoi cani giacevano immobili a terra,
Perché io avevo il privilegio di rispondere, capite, che ero venuta,
Signora della Peste e quella era, ahimè, prova
Di un disegno molto più ampio.

Il Privilegio di Poliel
Fisher kel Tath

CAPITOLO UNO


Al giorno d'oggi le strade pullulano di menzogne.

Sommo Mago Tayschrenn,
Incoronazione dell'Imperatrice Laseen
Riportato dallo Storico Imperiale Duiker

CAPITOLO DUE


Va da sé che un uomo, il quale si trova a essere
lo stregone più potente, più terribile, più letale del mondo,
deve avere una donna al fianco.
Ma non ne consegue, figli miei, che una donna
con simili facoltà necessiti di un uomo accanto.
Ora, chi vuole essere un tiranno?

Signora Wu
Scuola per Trovatelli e Derelitti di Città di Malaz
1152esimo anno del Sonno di Burn

CAPITOLO TRE

Yareth Ghanatan, la città si erge immobile
Prima e ultima, e dove la vecchia strada rialzata
Curva nel suo semicerchio ci sono torri
Di sabbia pullulanti di imperi ed
Eserciti in marcia; le bandiere di ali spezzate
E i corpi smembrati che rivestono i passaggi
Diventano presto le ossa degli edifici, guerrieri
E costruttori insieme. La città sempre si erge
A ospitare orde di insetti, oh quelle torri
Si innalzano così fiere, levandosi come sogni sul
Respiro ardente del sole, Yareth Ghanatan.
La città è imperatrice, moglie e amante,
Ava e figlia del Primo Impero,
E ancora io resto, con tutti i miei simili,
Le ossa nei muri, le ossa
Sotto il pavimento, le ossa che gettano
Questa tenue ombra... Primo e ultimo,
Io vedo cosa arriva, tutto ciò che è stato,
E l'argilla della mia carne ha sentito le tue mani
L'antico calore della vita, perché la città,
La mia città, si erge immobile, si erge,
sempre si erge immobile.

Ossa nei muri
(frammento di stele, Primo Impero circa)
Autore ignoto


CAPITOLO QUATTRO


Tutto ciò che K'rul creò, capisci, nacque dall'amore degli Dei Antichi per la possibilità. Una miriade di sentieri di magia intessevano una moltitudine di fili, tutti selvaggi come peli sul dorso di una bestia che vaga nel vento. E K'rul era quella bestia; eppure la sua era solo una parodia di vita, perché il sangue era il suo nettare, il dono versato, le rosse lacrime del dolore, e tutto il suo essere era definito da quella sete singolare.
Ma la sete è qualcosa che tutti condividiamo, no?

Brutho e Nullit parlano dell'Ultima Notte di Nullit
Brutho Parlet

CAPITOLO CINQUE


Le prime crepe apparvero poco dopo l'esecuzione di Sha'ik. Nessuno poteva conoscere l'opinione dell'Aggiunto Tavore. Non gli ufficiali a lei più vicini, e non i comuni soldati ai suoi ordini. Ma c'erano lontane agitazioni, certo, più evidenti in retrospettiva, e sarebbe superficiale ed arrogante affermare che l'Aggiunto ignorasse i problemi crescenti, non solo nel suo comando, ma nel cuore stesso dell'Impero Malazan. Gli eventi di Y'Ghatan avrebbero potuto rivelarsi una ferita fatale; se ci fosse stato qualcun altro al comando, se il cuore di quel qualcuno fosse stato meno duro, meno freddo.
Questo, più che in ogni altra passata occasione, fornì brutale sostegno alla convinzione che l'Aggiunto Tavore fosse come ferro freddo, gettato nell'animo di una fucina rovente...

Nessun testimone
(La Storia Perduta dei Cacciatori di Ossa)

Duiker di Darujhistan

CAPITOLO SEI


Tracciate una linea col sangue e, in piedi sopra di essa, scuotete con forza un nido di ragni. Cadono da questa parte della divisione. Cadono da quella parte della divisione. Così caddero gli dei, pronti, le gambe tese, mentre i cieli tremavano, nella pioggia di ragnatele sparse, tutti i terribili fili degli intrighi andavano posandosi, turbinanti nei venti che rombarono improvvisi, vivi, vendicativi, a proclamare, in lingue di tuono, che gli dei erano in guerra.

Uccisore della Magia
Storia dell'Armata dei Giorni

Sarathan

LIBRO SECONDO


Nell'oscurità venne, questo brutale assassino dei suoi simili,
liberato e scatenato, quando tutti tranne i fantasmi
fuggirono la selvaggia, arruffata arroganza, oh, conosceva il dolore,
fuochi gemelli di un vasto oblio gli bruciavano l'animo -
e così i fantasmi si raccolsero, chiamati da
uno che si sarebbe messo, mortale, impotente,
sul sentiero del terribile assassino,
questo incredibile sciocco, e avrebbe scommesso ogni cosa nella stretta
di mano, caldo contro freddo, e sarebbe stato condotto al luogo
da tempo svanito, e le bestie da tempo sconfitte
si sarebbero alle sue parole risvegliate.

E chi c'era là ad avvertirlo? Nessuno,
e ciò che riuscì ad affrancarsi non era amico
dei vivi. Quando usi l'orrore contro l'orrore,
caro ascoltatore, abbandona ogni speranza,
e cavalca un destriero veloce.

La Cecità Assoluta
Saedevar degli Jhag Taglio-largo

CAPITOLO SETTE


Mai contrattare con chi non ha niente da perdere.

Detti dello Sciocco
Thenys Bule

CAPITOLO OTTO


Sarkanos, Ivindonos e Ganath guardavano giù, verso i cadaveri ammucchiati, i pezzi di carne sparsi e i frammenti d'osso. Un campo di battaglia conosce solo sogni perduti, i fantasmi si aggrappano futilmente al terreno, nulla ricordando tranne l'ultimo luogo della loro vita; l'aria è cupa ora che il clangore è passato, e gli ultimi gemiti dei morenti si sono spenti nel silenzio.
Tutto questo non apparteneva loro, eppure restavano. Degli Jaghut non si conoscono mai i pensieri, nemmeno le aspirazioni, ma in quel momento parlarono.
«Tutto narrato», esordì Ganath. «Questa sordida storia è finita, e non è rimasto nessuno a levare lo stendardo, proclamando il trionfo della giustizia».
«Questa è una pianura oscura», dichiarò Ivindonos, «e io sono attento a simili cose, al dolore non raccontato, se privo di testimoni».
«Non abbastanza attento», ribatté Sarkanos.
«Un'accusa insolente», esclamò Ivindonos, scoprendo le zanne. «Dimmi a cosa sono cieco. Dimmi quale dolore esiste, che sia più grande di quello davanti a noi».
E Sarkanos rispose: «In là giacciono pianure più oscure».

Frammento di Stele (Yath Alban)
Anonimo

CAPITOLO NOVE


Se il tuono potesse essere catturato, imprigionato nella pietra, e tutta la sua violenta concatenazione sottratta al tempo, e decine di migliaia di anni fossero liberati a graffiare e rosicchiare questo volto tormentato, così questa prima visione svelerebbe tutto il suo terribile significato. Tali erano i miei pensieri, allora, e tali sono ora, benché decenni siano trascorsi nel frattempo, quando posai per l'ultima volta gli occhi su quella tragica rovina, così potente era la sua antica pretesa di grandezza.

La Città Perduta del Path'Apur
Principe I'farah di Bakun,
anni 987-1032 del Sonno di Burn

CAPITOLO DIECI

Quando il giorno conosceva solo oscurità,
il vento un muto mendicante che agitava ceneri e stelle
nelle pozze abbandonate sotto il vecchio
muro di sostegno, laggiù dove i bianchi fiumi
di sabbia scorrono grano per grano nell'invisibile,
e tutte le fondamenta sono solo un momento
del barcollio di un orizzonte, mi ritrovavo
fra amici e così fui messo a mio agio
con la mia modesta lista di addii.

Soldato morente
Fisher kel Tath


CAPITOLO UNDICI


La mia fede negli dei è questa: essi sono indifferenti al mio soffrire.

Tomlos, Destriante di Fener
827esimo? anno del Sonno di Burn

LIBRO TERZO


Chi può dire dove stia il confine fra la verità e la miriade di desideri che, insieme, danno forma ai ricordi? Ci sono pieghe profonde in ogni leggenda, e il disegno esterno, visibile, presenta una falsa unità di forma e di intenzione. Distorciamo deliberatamente la realtà; confiniamo un vasto contenuto nelle limitazioni della necessità immaginata. In ciò stanno un difetto e un dono insieme, perché nell'abbandono della verità forgiamo, a torto o a ragione, il significato universale. Lo specifico lascia il posto al generale; il particolare lascia il posto al grandioso, e nel racconto veniamo innalzati oltre le nostre identità mondane. Questa matassa di parole ci conduce, in effetti, a un'umanità più grande...

Introduzione a Fra i Consegnati
Heboric

CAPITOLO DODICI


«Parlò di coloro che sarebbero caduti, e nei suoi occhi freddi spiccava nuda la verità che eravamo noi l'oggetto delle sue parole. Parole su canne spezzate e patti di disperazione, su rese concesse come doni e massacri commessi nel nome della salvezza. Parlò dello scempio della guerra, e ci disse di fuggire in terre sconosciute, perché ci potesse essere risparmiata la rovina delle nostre vite...».

Parole del Profeta di Ferro Iskar Jarak
Gli Anibar (il Popolo Incantato)

CAPITOLO TREDICI

E tutte queste genti si riunirono
per onorare colui che era morto;
era un uomo, una donna, un guerriero,
un re, uno sciocco, e dov'erano
le statue, le immagini dipinte
sul gesso e sulla pietra?

Eppure lì stavano, ritti o seduti; il vino
si riversava ai loro piedi, colava rosso
dalle loro mani. Le vespe
nella loro ultima stagione roteavano
intorno con sete suadente e ubriachi, risvegliati
dalle punture, prorompevano in grida sorprese.

Voci si mischiavano in una profusione
confusa, e la domanda risuonava
ancora e ancora: perché? Ma è qui
che una verità trova la propria meraviglia,
perché la domanda non era perché
costui fosse morto, o tale da giustificare

perché in quel nucleo di vite mulinanti
non ce ne fosse alcuna per cui
quella riunione fosse soltanto
un'eco di un sé antico.

Chiedevano, ancora e poi ancora:
perché siamo qui?
Colui che era morto non aveva nome
se non ogni nome, non aveva volto
se non ogni volto di coloro che si erano riuniti,
e così fummo noi a imparare
fra vespe trascinate oltre il tempo della vita
ma capaci di un estremo, bruciante attacco
che eravamo noi i morti
e in una mente invisibile
stava ritto, o seduto, un uomo, o una donna,
un guerriero, una regina, o uno sciocco,
il quale, con agio da ubriaco, dedicava un fuggevole
pensiero a tutto ciò che era trascurato nella vita.

Riunione alla Fontana
Fisher Kel Tath


CAPITOLO QUATTORDICI


C'è qualcosa di profondamente cinico, amici miei, nell'idea del paradiso dopo la morte. Quell'allettamento è evasione. Quella promessa è giustificazione. Non occorre accettare responsabilità per lo stato del mondo e, per estensione, non occorre far nulla in proposito. Al fine di lottare per il cambiamento, per la vera bontà in questo mondo, bisogna riconoscere e accettare, nel profondo dell'animo, che la realtà mortale possiede uno scopo di per sé, che il suo valore più grande non è destinato a noi, ma ai nostri figli e ai loro figli. Considerare la realtà soltanto un rapido transito lungo un sentiero ostile, tormentoso, reso tale dalla nostra indifferenza, significa giustificare ogni sorta di infelicità e di depravazione, e infliggere una punizione crudele alle vite innocenti che verranno.
Mi oppongo a quest'idea del paradiso oltre la porta di osso. Se l'anima sopravvive veramente al passaggio, allora spetta a noi, a ciascuno di noi, amici miei, coltivare una fede nella similitudine: ciò che ci aspetta è un riflesso di ciò che ci lasciamo indietro; nello sprecare l'esistenza mortale, rinunciamo alla possibilità di imparare i modi della bontà, la pratica della comprensione, dell'empatia, della compassione e della guarigione, tutte trascurate nell'ansia di giungere a un luogo di bellezza e di splendore, un luogo che non ci siamo guadagnati, e che sicuramente non meritiamo.

Gli Insegnamenti Apocrifi dell'Evocatore
di Spiriti Tanno Kimloc
Il Decennio a Ehrlitan

CAPITOLO QUINDICI

Un vecchio al di là dei giorni da soldato
i chiodi verdi, gli occhi
cerchiati di ruggine,
stava in piedi come risvegliato ed estratto
dalla fossa del massacro, recuperato
dalla fuga convulsa
dopo che le lame giovani
l'avevano scacciato
dal campo.
Somiglia a una promessa che solo gli sciocchi
possono sognare di vedere dispiegata;
gli stendardi della gloria
gesticolano
nel vento sopra la sua testa,
ridotti a fantasmi spogli,
i crani sfondati, le labbra sventolanti,
le bocche aperte mute.

«Oh, ascoltatemi», grida
dalla sua sommità immaginata,
«e parlerò, di ricchezze
e ricompense, della mia grandezza,
del mio volto un tempo giovane come questi
che vedo davanti a me... ascoltate!».

Mentre qui io siedo al tavolo
del Tapu, le dite sporche del grasso
degli spiedini di carne; il calice incrinato,
imperlato nel sole caldo, il vino
annacquato perché l'alleanza di greve e di leggero
rendesse entrambi discretamente piacevoli.
A distanza di un braccio
da questa canaglia, il trombettiere cadente che, una volta,
forse, si era trovato al mio fianco,
circondato dagli scudi, rosso, come ubriaco, rozzo per la paura,
nell'attimo prima di spezzarsi, di fuggire...
e ora vorrebbe chiamare una nuova
generazione alla guerra, al clamore della battaglia,
e perché... Be', perché... tutto
perché una volta è fuggito, ma ascoltate:
un soldato che è fuggito una volta
fugge sempre, e questa,
onorevole magistrato,
è la ragione,
l'unica ragione, direi,
per cui il mio coltello ha trovato la sua schiena.
Era un soldato
le cui parole mi avevano
risvegliato.

«La Difesa di Bedura» in
L'Uccisione del Re Qualin Tros di Bellid
(trascritta in forma di canzone da Fisher, Città di Malaz,
ultimo anno del Regno di Laseen)


CAPITOLO SEDICI

I vagabondi privilegiati sono qui ora,
a lisciarsi le piume dietro agli eserciti mercenari,
e l'ex soldato senza gambe
che si appoggia storto contro un muro
come una statua spezzata, caduta;
scritto sul suo palmo vuoto l'avvertimento
che nemmeno gli eserciti possono mangiare oro
ma questi giovani civili non riescono a vedere
così lontano e per i loro figli
la strada del futuro è già stata ripulita,
i ciottoli estratti per costruire mura rozze
e decrepiti rifugi per gli erranti,
eppure questo è ancora un mondo ricco
che deposita i suoi tesori striati di sangue
ai loro piedi setosi... sono qui ora,
i volti della civiltà e oh, come
noi sciocchi caduti bramiamo di essere fra loro,
compagni di banchetto davanti al trogolo senza fondo.
Che cosa verrà da questo?
Io riposo, storto,
pietra dura dietro la schiena,
e questa moneta solitaria che mi si posa
sulla mano ha un volto,
un antico vagabondo privilegiato nella sua epoca,
che un tempo si è nascosto dietro agli eserciti, sì, finché,
finché quegli eserciti si sono risvegliati, un giorno,
con lo stomaco vuoto... che orgoglio,
che boria! Guardate la strada!
Da questa strettoia vorrei fuggire, e fuggire...
se solo non avessi combattuto,
difendendo quell'insensato divoratore
del domani, se solo avessi le gambe
così li guardo passare, sotto i loro parasole
e le moltitudini affamate si incupiscono,
e ora mi fissano con la loro espressione avida...
fuggirei, sì, se solo avessi le gambe.

Negli Ultimi Giorni del Primo Impero
Sogruntes


LIBRO QUARTO


Chi può negare che sia nella nostra natura credere il peggio dei nostri simili? Mentre culti emergevano, confluendo nell'adorazione di un patrono, non solo Coltaine, l'Alato, la Piuma Nera, ma la stessa Catena dei Cani, in tutta Sette Città, e santuari sembravano crescere dalle terre desolate lungo quella pista fatidica, santuari propiziatori nei confronti di un eroe morto dopo l'altro: Bult, Lull, Mincer, Sormo Ènath, persino Baria e Mesker Setral delle Spade Rosse, e del Clan del Cane Sciocco, del Clan della Donnola e, naturalmente, del Corvo e del Settimo Esercito stesso; mentre presso la Catena di Gelor, in un vecchio monastero affacciato sull'antico luogo della battaglia, nasceva un nuovo culto incentrato sui cavalli, mentre questa vasta febbre di venerazione afferrava Sette Città, certi agenti nel cuore dell'Impero Malazan diffusero, fra la gente comune, storie che sostenevano l'esatto contrario: che Coltaine aveva tradito l'impero; che era stato un rinnegato, segretamente alleato con Sha'ik. Dopo tutto, se gli innumerevoli fuggiaschi fossero semplicemente rimasti nelle loro città, accettando il dominio della ribellione; se non fossero stati trascinati fuori da Coltaine e dai suoi Wickan assetati di sangue; e se il capo del Quadro dei Maghi del Settimo, Kulp, non fosse tanto misteriosamente scomparso, lasciando l'esercito Malazan vulnerabile alle macchinazioni e alle manipolazioni delle streghe e degli stregoni Wickan; se tutto ciò non fosse successo, non ci sarebbe stato nessun massacro, non ci sarebbe stato il terribile tormento di attraversare mezzo continente esposti a ogni tribù predatrice, semiselvaggia, delle terre desolate. E, cosa più nefanda di tutte, Coltaine aveva allora, in combutta con lo sleale Storico Imperiale, Duiker, cospirato per provocare il susseguente tradimento e annientamento dell'Esercito di Aren, condotto dall'ingenuo Gran Pugno Pormqual, che era stato la prima vittima di quell'atroce doppiezza. Per quale altra ragione, dopo tutto, quei ribelli di Sette Città avrebbero dovuto dedicarsi all'adorazione di simili figure, se non perché vedevano in Coltaine e negli altri eroici alleati...
... A ogni modo, ufficialmente approvata o no, la persecuzione degli Wickan all'interno dell'impero divampò rovente e devastatrice, data l'abbondanza di combustibile...

L'Anno delle Diecimila Menzogne
Kayessan

CAPITOLO DICIASSETTE


Che cosa rimane da capire? La scelta è un'illusione. La libertà è presunzione. Le mani che si allungano a guidare ogni vostro passo, ogni vostro pensiero, non vengono dagli dei, che sono sprovveduti quanto noi, no, amici miei, quelle mani vengono a ciascuno di noi... da ciascuno di noi.
Forse credete che la civiltà ci assordi con decine di migliaia di voci, ma ascoltate bene quel clamore, perché a ogni nuovo scoppio, tanto eterogeneo, tanto multiforme, si risveglia una forza antica, che avvicina ogni rumore sempre più, finché il coro forma soltanto due lati, in lotta l'uno con l'altro. Le linee sanguinose vengono tracciate; si combatte nel distogliere il viso, nel tappare le orecchie, nell'esporre la fredda negazione, e ogni discorso, infine, si rivela futile e privo di valore.
Continuerete a credere, amici miei, che il cambiamento è alla nostra portata? Che volontà e ragione sconfiggeranno il desiderio di negazione?
Non rimane niente da capire. Questo folle vortice ci tiene tutti in una morsa che non può essere spezzata; e voi con le vostre lance e le vostre maschere di guerra, voi con le vostre lacrime e il vostro tocco delicato, voi con il ghigno sardonico dietro a cui urlano la paura e l'odio di sé, persino voi, che ve state da parte, muti testimoni della nostra catastrofica dissoluzione, troppo storditi per agire... siete una cosa sola. Siete tutti una cosa sola. Noi siamo tutti una cosa sola.
Per cui, ora avvicinatevi, amici miei, e guardate, in questo modesto carro davanti a voi, le mie merci più preziose. L'Elisir dell'Oblio, la Tintura della Danza Febbrile e qui, il mio bene preferito, l'Unguento dell'Infinito Valore del Maschio, per garantire che il vostro soldato rimanga sempre ritto, battaglia dopo battaglia?

L'Arringa del Venditore Ambulante,
riferita da Vaylan Winder, Città di Malaz, l'anno che le fogne strariparono in città
(1123esimo anno del Sonno di Burn)

CAPITOLO DICIOTTO


La verità è una pressione, e vedo tutti noi cercare di evitarla. Ma, amici miei, non c'è modo di sfuggire alla verità.

L'Anno delle Diecimila Menzogne
Kayessan

CAPITOLO DICIANNOVE

Equivoco crudele, voi avete scelto la forma
e lo stile di quest'argilla umida fra le vostre mani,
mentre la ruota continua a girare

Temprato nel granito, questo guscio cotto s'indurisce
nello scudo sfregiato delle vostre azioni,
e le cupe decisioni all'interno

Rimangono nascoste, sospese, invisibili nelle striature,
in attesa dello stanco arrivo della morte,
il nutrimento del viaggio che segna la vostra fine

Noi, ciechi, addolorati, vi eleviamo in alto,
onorando tutto quello che non siete mai stati,
e ciò che marcisce in voi vi segue fino alla tomba

Io sto ora fra chi piange, infastidito
dai miei sospetti, mentre la polvere del vaso si disperde...
oh, quanto disprezzo i funerali

I Segreti dell'Argilla
Panith Fanal


CAPITOLO VENTI


La disciplina è l'arma più efficace contro la tracotanza. Dobbiamo misurare la virtù della nostra stessa risposta nel reagire alle atrocità dei fanatici. E tuttavia stiamo attenti a non affermare, nel tessere le lodi della nostra compassione, che fra noi non esistono fanatici; la tracotanza nasce ovunque resista la tradizione, e soprattutto laddove esista la percezione che la tradizione sia sotto attacco. I fanatici proliferano tanto in un ambiente di decadenza morale (reale o immaginaria) quanto in un ambiente di autentica ingiustizia, nonché sotto la bandiera di una causa comune.
La disciplina sta nell'affrontare tanto il nemico interno quanto quello fuori di voi; perché senza il giudizio critico, l'arma da voi brandita dispensa, diciamolo senza riserve, soltanto massacri.
E la sua prima vittima è la rettitudine morale della vostra causa.

(Parole agli Adepti)
La Spada Morale Brukhalian
Le Spade Grigie

CAPITOLO VENTUNO


Un Libro delle Profezie apre la Porta. Ne occorre un altro per chiuderla.

L'Evocatore di Spiriti Tanno Kimloc

CAPITOLO VENTIDUE

Chi sono questi forestieri, quindi, con i loro volti familiari?
Emergono dalla folla con occhi indifferenti,
e il sangue che cola dalle mani.
Ciò che prima era nascosto, mascherato dal comune
e dall'innocuo, ora distorce lineamenti rivelati
in una conflagrazione d'odio; le vittime crollano sotto i piedi.

Chi guidava e chi seguiva e perché le fiamme fioriscono
nell'oscurità e ogni sguardo, ignaro, sprovveduto,
si posa, nella luce del mattino, sull'eredità del risentimento
scatenato? Non mi faccio ingannare dalle grida di orrore. Non mi faccio commuovere dalla manifestazione della sofferenza.
Perché ricordo la notte tremenda;
il viso guizzante nelle pozze di sangue, illuminate dal fuoco, era il mio.

Chi era questo forestiero, quindi, con il suo volto familiare?
Si confonde fra la folla nell'onda vorticosa, caotica,
e il sangue che infuria nella tempesta del mio cranio ribolle febbrile
mentre mi getto avanti e stermino tutte queste vite innocenti,
il mio odio per la loro debolezza un calderone rovesciato, mentre annego nella mia stessa
debolezza, questo forestiero, questo forestiero...

L'alba in cui mi sono tolto la vita
Il Pogrom degli Wickan

Kayessan


CAPITOLO VENTITRE

I Gemelli stavano ritti sulla loro torre
mentre, sotto, il massacro cominciava
e i dadi rimbalzavano selvaggi
con loro grande gioia; ma improvvisamente
si fecero amari, e quel loro gioco -
con i mortali che sanguinavano
e piangevano nel buio, lo videro
cambiare, e seguire un vento nuovo, un vento
non loro. E così i Gemelli furono giocati
a loro volta, oh come furono giocati.

La Luna dell'Uccisore
Vatan Utor


CAPITOLO VENTIQUATTRO

Tirate un respiro,
un respiro profondo,
e ora trattenetelo, amici miei,
trattenetelo a lungo
perché il mondo
il mondo annega

Wu


EPILOGO
In un viaggio per le terre desolate, trovai un dio
che, inginocchiato, spingeva le mani dentro la sabbia
ancora e ancora; e ogni volta le sollevava
a guardare i granelli inerti colare giù.

Smontando dal mio cavallo stanco, mi portai
di fronte a quest'apparizione, con le sue mani polverose
e guardai per qualche tempo i cicli del loro movimento
finché essa non alzò uno sguardo supplichevole.

«Dove», chiese questo dio, «sono i miei figli?».

I Credenti Perduti
Fisher




Edited by SparklingLu - 11/11/2020, 13:42
 
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