| PROLOGO
Perché tutto ciò diviene vero In quest'era imminente In cui gli eroi lasciano solo Il tintinnio ferrigno dei loro nomi Cantati dalle gole dei bardi Io sto in questo cuore silenzioso Bramando il battito morente Delle vite ridotte in polvere E il giudizio bisbigliato Proclama il passaggio della gloria Mentre le canzoni si spengono In echi sempre più fiochi Perché tutto ciò diviene vero Le camere e le sale Si spalancano vuote davanti alle mie grida Perché qualcuno deve Dare risposta Dare risposta A tutto questo Qualcuno
L'era imminente Torbora Fethena
LIBRO PRIMO Percorsi il sentiero tortuoso fino alla valle Dove bassi muri di pietra dividevano fattorie e fortezze E ogni lotto uniforme aveva il suo posto nel disegno Che tutti gli abitanti del luogo ben comprendevano, A guidare i loro viaggi e i loro richiami E offrire una mano familiare nella notte più buia Per il ritorno alla porta di casa e ai cani danzanti. Camminai finché non mi fermò un vecchio Che si raddrizzò dal lavoro con aria di sfida E sorridendo per scongiurare i suoi calcoli e il suo giudizio, Gli chiesi di dirmi tutto ciò che sapeva Delle terre all'ovest, oltre la pianura Ed egli con sollievo rispose che c'erano città. Vaste e brulicanti di ogni sorta di stranezza, E un re e sacerdoti in lotta; e una volta, Mi disse, aveva visto una nuvola di polvere gettata in cielo Dal passaggio di un esercito, diretto in battaglia Da qualche parte, ne era certo, nel freddo sud, E così appresi tutto ciò che sapeva, e non era molto, Oltre la pianura non era mai stato, dalla nascita Ad allora non aveva mai saputo. Perché, a dire la verità, È così che il disegno si dispiega per gli umili In tutti i luoghi, in tutti i tempi e la curiosità giace spuntata, Tronca, anche se usò abbastanza fiato per chiedere Chi fossi e come fossi arrivata lì e quale fosse La mia destinazione, lasciandomi a rispondere, con un debole sorriso, Che ero diretta alle città brulicanti, ma dovevo prima Passare da lì e tuttavia egli aveva notato Che i suoi cani giacevano immobili a terra, Perché io avevo il privilegio di rispondere, capite, che ero venuta, Signora della Peste e quella era, ahimè, prova Di un disegno molto più ampio.
Il Privilegio di Poliel Fisher kel Tath
CAPITOLO UNO Al giorno d'oggi le strade pullulano di menzogne.
Sommo Mago Tayschrenn, Incoronazione dell'Imperatrice Laseen Riportato dallo Storico Imperiale Duiker
CAPITOLO DUE Va da sé che un uomo, il quale si trova a essere lo stregone più potente, più terribile, più letale del mondo, deve avere una donna al fianco. Ma non ne consegue, figli miei, che una donna con simili facoltà necessiti di un uomo accanto. Ora, chi vuole essere un tiranno?
Signora Wu Scuola per Trovatelli e Derelitti di Città di Malaz 1152esimo anno del Sonno di Burn
CAPITOLO TRE
Yareth Ghanatan, la città si erge immobile Prima e ultima, e dove la vecchia strada rialzata Curva nel suo semicerchio ci sono torri Di sabbia pullulanti di imperi ed Eserciti in marcia; le bandiere di ali spezzate E i corpi smembrati che rivestono i passaggi Diventano presto le ossa degli edifici, guerrieri E costruttori insieme. La città sempre si erge A ospitare orde di insetti, oh quelle torri Si innalzano così fiere, levandosi come sogni sul Respiro ardente del sole, Yareth Ghanatan. La città è imperatrice, moglie e amante, Ava e figlia del Primo Impero, E ancora io resto, con tutti i miei simili, Le ossa nei muri, le ossa Sotto il pavimento, le ossa che gettano Questa tenue ombra... Primo e ultimo, Io vedo cosa arriva, tutto ciò che è stato, E l'argilla della mia carne ha sentito le tue mani L'antico calore della vita, perché la città, La mia città, si erge immobile, si erge, sempre si erge immobile.
Ossa nei muri (frammento di stele, Primo Impero circa) Autore ignoto
CAPITOLO QUATTRO Tutto ciò che K'rul creò, capisci, nacque dall'amore degli Dei Antichi per la possibilità. Una miriade di sentieri di magia intessevano una moltitudine di fili, tutti selvaggi come peli sul dorso di una bestia che vaga nel vento. E K'rul era quella bestia; eppure la sua era solo una parodia di vita, perché il sangue era il suo nettare, il dono versato, le rosse lacrime del dolore, e tutto il suo essere era definito da quella sete singolare. Ma la sete è qualcosa che tutti condividiamo, no?
Brutho e Nullit parlano dell'Ultima Notte di Nullit Brutho Parlet
CAPITOLO CINQUE Le prime crepe apparvero poco dopo l'esecuzione di Sha'ik. Nessuno poteva conoscere l'opinione dell'Aggiunto Tavore. Non gli ufficiali a lei più vicini, e non i comuni soldati ai suoi ordini. Ma c'erano lontane agitazioni, certo, più evidenti in retrospettiva, e sarebbe superficiale ed arrogante affermare che l'Aggiunto ignorasse i problemi crescenti, non solo nel suo comando, ma nel cuore stesso dell'Impero Malazan. Gli eventi di Y'Ghatan avrebbero potuto rivelarsi una ferita fatale; se ci fosse stato qualcun altro al comando, se il cuore di quel qualcuno fosse stato meno duro, meno freddo. Questo, più che in ogni altra passata occasione, fornì brutale sostegno alla convinzione che l'Aggiunto Tavore fosse come ferro freddo, gettato nell'animo di una fucina rovente...
Nessun testimone (La Storia Perduta dei Cacciatori di Ossa) Duiker di Darujhistan
CAPITOLO SEI Tracciate una linea col sangue e, in piedi sopra di essa, scuotete con forza un nido di ragni. Cadono da questa parte della divisione. Cadono da quella parte della divisione. Così caddero gli dei, pronti, le gambe tese, mentre i cieli tremavano, nella pioggia di ragnatele sparse, tutti i terribili fili degli intrighi andavano posandosi, turbinanti nei venti che rombarono improvvisi, vivi, vendicativi, a proclamare, in lingue di tuono, che gli dei erano in guerra.
Uccisore della Magia Storia dell'Armata dei Giorni Sarathan
LIBRO SECONDO Nell'oscurità venne, questo brutale assassino dei suoi simili, liberato e scatenato, quando tutti tranne i fantasmi fuggirono la selvaggia, arruffata arroganza, oh, conosceva il dolore, fuochi gemelli di un vasto oblio gli bruciavano l'animo - e così i fantasmi si raccolsero, chiamati da uno che si sarebbe messo, mortale, impotente, sul sentiero del terribile assassino, questo incredibile sciocco, e avrebbe scommesso ogni cosa nella stretta di mano, caldo contro freddo, e sarebbe stato condotto al luogo da tempo svanito, e le bestie da tempo sconfitte si sarebbero alle sue parole risvegliate.
E chi c'era là ad avvertirlo? Nessuno, e ciò che riuscì ad affrancarsi non era amico dei vivi. Quando usi l'orrore contro l'orrore, caro ascoltatore, abbandona ogni speranza, e cavalca un destriero veloce.
La Cecità Assoluta Saedevar degli Jhag Taglio-largo
CAPITOLO SETTE Mai contrattare con chi non ha niente da perdere.
Detti dello Sciocco Thenys Bule
CAPITOLO OTTO Sarkanos, Ivindonos e Ganath guardavano giù, verso i cadaveri ammucchiati, i pezzi di carne sparsi e i frammenti d'osso. Un campo di battaglia conosce solo sogni perduti, i fantasmi si aggrappano futilmente al terreno, nulla ricordando tranne l'ultimo luogo della loro vita; l'aria è cupa ora che il clangore è passato, e gli ultimi gemiti dei morenti si sono spenti nel silenzio. Tutto questo non apparteneva loro, eppure restavano. Degli Jaghut non si conoscono mai i pensieri, nemmeno le aspirazioni, ma in quel momento parlarono. «Tutto narrato», esordì Ganath. «Questa sordida storia è finita, e non è rimasto nessuno a levare lo stendardo, proclamando il trionfo della giustizia». «Questa è una pianura oscura», dichiarò Ivindonos, «e io sono attento a simili cose, al dolore non raccontato, se privo di testimoni». «Non abbastanza attento», ribatté Sarkanos. «Un'accusa insolente», esclamò Ivindonos, scoprendo le zanne. «Dimmi a cosa sono cieco. Dimmi quale dolore esiste, che sia più grande di quello davanti a noi». E Sarkanos rispose: «In là giacciono pianure più oscure».
Frammento di Stele (Yath Alban) Anonimo
CAPITOLO NOVE Se il tuono potesse essere catturato, imprigionato nella pietra, e tutta la sua violenta concatenazione sottratta al tempo, e decine di migliaia di anni fossero liberati a graffiare e rosicchiare questo volto tormentato, così questa prima visione svelerebbe tutto il suo terribile significato. Tali erano i miei pensieri, allora, e tali sono ora, benché decenni siano trascorsi nel frattempo, quando posai per l'ultima volta gli occhi su quella tragica rovina, così potente era la sua antica pretesa di grandezza.
La Città Perduta del Path'Apur Principe I'farah di Bakun, anni 987-1032 del Sonno di Burn
CAPITOLO DIECI
Quando il giorno conosceva solo oscurità, il vento un muto mendicante che agitava ceneri e stelle nelle pozze abbandonate sotto il vecchio muro di sostegno, laggiù dove i bianchi fiumi di sabbia scorrono grano per grano nell'invisibile, e tutte le fondamenta sono solo un momento del barcollio di un orizzonte, mi ritrovavo fra amici e così fui messo a mio agio con la mia modesta lista di addii.
Soldato morente Fisher kel Tath
CAPITOLO UNDICI La mia fede negli dei è questa: essi sono indifferenti al mio soffrire.
Tomlos, Destriante di Fener 827esimo? anno del Sonno di Burn
LIBRO TERZO Chi può dire dove stia il confine fra la verità e la miriade di desideri che, insieme, danno forma ai ricordi? Ci sono pieghe profonde in ogni leggenda, e il disegno esterno, visibile, presenta una falsa unità di forma e di intenzione. Distorciamo deliberatamente la realtà; confiniamo un vasto contenuto nelle limitazioni della necessità immaginata. In ciò stanno un difetto e un dono insieme, perché nell'abbandono della verità forgiamo, a torto o a ragione, il significato universale. Lo specifico lascia il posto al generale; il particolare lascia il posto al grandioso, e nel racconto veniamo innalzati oltre le nostre identità mondane. Questa matassa di parole ci conduce, in effetti, a un'umanità più grande...
Introduzione a Fra i Consegnati Heboric
CAPITOLO DODICI «Parlò di coloro che sarebbero caduti, e nei suoi occhi freddi spiccava nuda la verità che eravamo noi l'oggetto delle sue parole. Parole su canne spezzate e patti di disperazione, su rese concesse come doni e massacri commessi nel nome della salvezza. Parlò dello scempio della guerra, e ci disse di fuggire in terre sconosciute, perché ci potesse essere risparmiata la rovina delle nostre vite...».
Parole del Profeta di Ferro Iskar Jarak Gli Anibar (il Popolo Incantato)
CAPITOLO TREDICI
E tutte queste genti si riunirono per onorare colui che era morto; era un uomo, una donna, un guerriero, un re, uno sciocco, e dov'erano le statue, le immagini dipinte sul gesso e sulla pietra?
Eppure lì stavano, ritti o seduti; il vino si riversava ai loro piedi, colava rosso dalle loro mani. Le vespe nella loro ultima stagione roteavano intorno con sete suadente e ubriachi, risvegliati dalle punture, prorompevano in grida sorprese.
Voci si mischiavano in una profusione confusa, e la domanda risuonava ancora e ancora: perché? Ma è qui che una verità trova la propria meraviglia, perché la domanda non era perché costui fosse morto, o tale da giustificare
perché in quel nucleo di vite mulinanti non ce ne fosse alcuna per cui quella riunione fosse soltanto un'eco di un sé antico.
Chiedevano, ancora e poi ancora: perché siamo qui? Colui che era morto non aveva nome se non ogni nome, non aveva volto se non ogni volto di coloro che si erano riuniti, e così fummo noi a imparare fra vespe trascinate oltre il tempo della vita ma capaci di un estremo, bruciante attacco che eravamo noi i morti e in una mente invisibile stava ritto, o seduto, un uomo, o una donna, un guerriero, una regina, o uno sciocco, il quale, con agio da ubriaco, dedicava un fuggevole pensiero a tutto ciò che era trascurato nella vita.
Riunione alla Fontana Fisher Kel Tath
CAPITOLO QUATTORDICI C'è qualcosa di profondamente cinico, amici miei, nell'idea del paradiso dopo la morte. Quell'allettamento è evasione. Quella promessa è giustificazione. Non occorre accettare responsabilità per lo stato del mondo e, per estensione, non occorre far nulla in proposito. Al fine di lottare per il cambiamento, per la vera bontà in questo mondo, bisogna riconoscere e accettare, nel profondo dell'animo, che la realtà mortale possiede uno scopo di per sé, che il suo valore più grande non è destinato a noi, ma ai nostri figli e ai loro figli. Considerare la realtà soltanto un rapido transito lungo un sentiero ostile, tormentoso, reso tale dalla nostra indifferenza, significa giustificare ogni sorta di infelicità e di depravazione, e infliggere una punizione crudele alle vite innocenti che verranno. Mi oppongo a quest'idea del paradiso oltre la porta di osso. Se l'anima sopravvive veramente al passaggio, allora spetta a noi, a ciascuno di noi, amici miei, coltivare una fede nella similitudine: ciò che ci aspetta è un riflesso di ciò che ci lasciamo indietro; nello sprecare l'esistenza mortale, rinunciamo alla possibilità di imparare i modi della bontà, la pratica della comprensione, dell'empatia, della compassione e della guarigione, tutte trascurate nell'ansia di giungere a un luogo di bellezza e di splendore, un luogo che non ci siamo guadagnati, e che sicuramente non meritiamo.
Gli Insegnamenti Apocrifi dell'Evocatore di Spiriti Tanno Kimloc Il Decennio a Ehrlitan
CAPITOLO QUINDICI
Un vecchio al di là dei giorni da soldato i chiodi verdi, gli occhi cerchiati di ruggine, stava in piedi come risvegliato ed estratto dalla fossa del massacro, recuperato dalla fuga convulsa dopo che le lame giovani l'avevano scacciato dal campo. Somiglia a una promessa che solo gli sciocchi possono sognare di vedere dispiegata; gli stendardi della gloria gesticolano nel vento sopra la sua testa, ridotti a fantasmi spogli, i crani sfondati, le labbra sventolanti, le bocche aperte mute.
«Oh, ascoltatemi», grida dalla sua sommità immaginata, «e parlerò, di ricchezze e ricompense, della mia grandezza, del mio volto un tempo giovane come questi che vedo davanti a me... ascoltate!».
Mentre qui io siedo al tavolo del Tapu, le dite sporche del grasso degli spiedini di carne; il calice incrinato, imperlato nel sole caldo, il vino annacquato perché l'alleanza di greve e di leggero rendesse entrambi discretamente piacevoli. A distanza di un braccio da questa canaglia, il trombettiere cadente che, una volta, forse, si era trovato al mio fianco, circondato dagli scudi, rosso, come ubriaco, rozzo per la paura, nell'attimo prima di spezzarsi, di fuggire... e ora vorrebbe chiamare una nuova generazione alla guerra, al clamore della battaglia, e perché... Be', perché... tutto perché una volta è fuggito, ma ascoltate: un soldato che è fuggito una volta fugge sempre, e questa, onorevole magistrato, è la ragione, l'unica ragione, direi, per cui il mio coltello ha trovato la sua schiena. Era un soldato le cui parole mi avevano risvegliato.
«La Difesa di Bedura» in L'Uccisione del Re Qualin Tros di Bellid (trascritta in forma di canzone da Fisher, Città di Malaz, ultimo anno del Regno di Laseen)
CAPITOLO SEDICI
I vagabondi privilegiati sono qui ora, a lisciarsi le piume dietro agli eserciti mercenari, e l'ex soldato senza gambe che si appoggia storto contro un muro come una statua spezzata, caduta; scritto sul suo palmo vuoto l'avvertimento che nemmeno gli eserciti possono mangiare oro ma questi giovani civili non riescono a vedere così lontano e per i loro figli la strada del futuro è già stata ripulita, i ciottoli estratti per costruire mura rozze e decrepiti rifugi per gli erranti, eppure questo è ancora un mondo ricco che deposita i suoi tesori striati di sangue ai loro piedi setosi... sono qui ora, i volti della civiltà e oh, come noi sciocchi caduti bramiamo di essere fra loro, compagni di banchetto davanti al trogolo senza fondo. Che cosa verrà da questo? Io riposo, storto, pietra dura dietro la schiena, e questa moneta solitaria che mi si posa sulla mano ha un volto, un antico vagabondo privilegiato nella sua epoca, che un tempo si è nascosto dietro agli eserciti, sì, finché, finché quegli eserciti si sono risvegliati, un giorno, con lo stomaco vuoto... che orgoglio, che boria! Guardate la strada! Da questa strettoia vorrei fuggire, e fuggire... se solo non avessi combattuto, difendendo quell'insensato divoratore del domani, se solo avessi le gambe così li guardo passare, sotto i loro parasole e le moltitudini affamate si incupiscono, e ora mi fissano con la loro espressione avida... fuggirei, sì, se solo avessi le gambe.
Negli Ultimi Giorni del Primo Impero Sogruntes
LIBRO QUARTO Chi può negare che sia nella nostra natura credere il peggio dei nostri simili? Mentre culti emergevano, confluendo nell'adorazione di un patrono, non solo Coltaine, l'Alato, la Piuma Nera, ma la stessa Catena dei Cani, in tutta Sette Città, e santuari sembravano crescere dalle terre desolate lungo quella pista fatidica, santuari propiziatori nei confronti di un eroe morto dopo l'altro: Bult, Lull, Mincer, Sormo Ènath, persino Baria e Mesker Setral delle Spade Rosse, e del Clan del Cane Sciocco, del Clan della Donnola e, naturalmente, del Corvo e del Settimo Esercito stesso; mentre presso la Catena di Gelor, in un vecchio monastero affacciato sull'antico luogo della battaglia, nasceva un nuovo culto incentrato sui cavalli, mentre questa vasta febbre di venerazione afferrava Sette Città, certi agenti nel cuore dell'Impero Malazan diffusero, fra la gente comune, storie che sostenevano l'esatto contrario: che Coltaine aveva tradito l'impero; che era stato un rinnegato, segretamente alleato con Sha'ik. Dopo tutto, se gli innumerevoli fuggiaschi fossero semplicemente rimasti nelle loro città, accettando il dominio della ribellione; se non fossero stati trascinati fuori da Coltaine e dai suoi Wickan assetati di sangue; e se il capo del Quadro dei Maghi del Settimo, Kulp, non fosse tanto misteriosamente scomparso, lasciando l'esercito Malazan vulnerabile alle macchinazioni e alle manipolazioni delle streghe e degli stregoni Wickan; se tutto ciò non fosse successo, non ci sarebbe stato nessun massacro, non ci sarebbe stato il terribile tormento di attraversare mezzo continente esposti a ogni tribù predatrice, semiselvaggia, delle terre desolate. E, cosa più nefanda di tutte, Coltaine aveva allora, in combutta con lo sleale Storico Imperiale, Duiker, cospirato per provocare il susseguente tradimento e annientamento dell'Esercito di Aren, condotto dall'ingenuo Gran Pugno Pormqual, che era stato la prima vittima di quell'atroce doppiezza. Per quale altra ragione, dopo tutto, quei ribelli di Sette Città avrebbero dovuto dedicarsi all'adorazione di simili figure, se non perché vedevano in Coltaine e negli altri eroici alleati... ... A ogni modo, ufficialmente approvata o no, la persecuzione degli Wickan all'interno dell'impero divampò rovente e devastatrice, data l'abbondanza di combustibile...
L'Anno delle Diecimila Menzogne Kayessan
CAPITOLO DICIASSETTE Che cosa rimane da capire? La scelta è un'illusione. La libertà è presunzione. Le mani che si allungano a guidare ogni vostro passo, ogni vostro pensiero, non vengono dagli dei, che sono sprovveduti quanto noi, no, amici miei, quelle mani vengono a ciascuno di noi... da ciascuno di noi. Forse credete che la civiltà ci assordi con decine di migliaia di voci, ma ascoltate bene quel clamore, perché a ogni nuovo scoppio, tanto eterogeneo, tanto multiforme, si risveglia una forza antica, che avvicina ogni rumore sempre più, finché il coro forma soltanto due lati, in lotta l'uno con l'altro. Le linee sanguinose vengono tracciate; si combatte nel distogliere il viso, nel tappare le orecchie, nell'esporre la fredda negazione, e ogni discorso, infine, si rivela futile e privo di valore. Continuerete a credere, amici miei, che il cambiamento è alla nostra portata? Che volontà e ragione sconfiggeranno il desiderio di negazione? Non rimane niente da capire. Questo folle vortice ci tiene tutti in una morsa che non può essere spezzata; e voi con le vostre lance e le vostre maschere di guerra, voi con le vostre lacrime e il vostro tocco delicato, voi con il ghigno sardonico dietro a cui urlano la paura e l'odio di sé, persino voi, che ve state da parte, muti testimoni della nostra catastrofica dissoluzione, troppo storditi per agire... siete una cosa sola. Siete tutti una cosa sola. Noi siamo tutti una cosa sola. Per cui, ora avvicinatevi, amici miei, e guardate, in questo modesto carro davanti a voi, le mie merci più preziose. L'Elisir dell'Oblio, la Tintura della Danza Febbrile e qui, il mio bene preferito, l'Unguento dell'Infinito Valore del Maschio, per garantire che il vostro soldato rimanga sempre ritto, battaglia dopo battaglia?
L'Arringa del Venditore Ambulante, riferita da Vaylan Winder, Città di Malaz, l'anno che le fogne strariparono in città (1123esimo anno del Sonno di Burn)
CAPITOLO DICIOTTO La verità è una pressione, e vedo tutti noi cercare di evitarla. Ma, amici miei, non c'è modo di sfuggire alla verità.
L'Anno delle Diecimila Menzogne Kayessan
CAPITOLO DICIANNOVE
Equivoco crudele, voi avete scelto la forma e lo stile di quest'argilla umida fra le vostre mani, mentre la ruota continua a girare
Temprato nel granito, questo guscio cotto s'indurisce nello scudo sfregiato delle vostre azioni, e le cupe decisioni all'interno
Rimangono nascoste, sospese, invisibili nelle striature, in attesa dello stanco arrivo della morte, il nutrimento del viaggio che segna la vostra fine
Noi, ciechi, addolorati, vi eleviamo in alto, onorando tutto quello che non siete mai stati, e ciò che marcisce in voi vi segue fino alla tomba
Io sto ora fra chi piange, infastidito dai miei sospetti, mentre la polvere del vaso si disperde... oh, quanto disprezzo i funerali
I Segreti dell'Argilla Panith Fanal
CAPITOLO VENTI La disciplina è l'arma più efficace contro la tracotanza. Dobbiamo misurare la virtù della nostra stessa risposta nel reagire alle atrocità dei fanatici. E tuttavia stiamo attenti a non affermare, nel tessere le lodi della nostra compassione, che fra noi non esistono fanatici; la tracotanza nasce ovunque resista la tradizione, e soprattutto laddove esista la percezione che la tradizione sia sotto attacco. I fanatici proliferano tanto in un ambiente di decadenza morale (reale o immaginaria) quanto in un ambiente di autentica ingiustizia, nonché sotto la bandiera di una causa comune. La disciplina sta nell'affrontare tanto il nemico interno quanto quello fuori di voi; perché senza il giudizio critico, l'arma da voi brandita dispensa, diciamolo senza riserve, soltanto massacri. E la sua prima vittima è la rettitudine morale della vostra causa.
(Parole agli Adepti) La Spada Morale Brukhalian Le Spade Grigie
CAPITOLO VENTUNO Un Libro delle Profezie apre la Porta. Ne occorre un altro per chiuderla.
L'Evocatore di Spiriti Tanno Kimloc
CAPITOLO VENTIDUE
Chi sono questi forestieri, quindi, con i loro volti familiari? Emergono dalla folla con occhi indifferenti, e il sangue che cola dalle mani. Ciò che prima era nascosto, mascherato dal comune e dall'innocuo, ora distorce lineamenti rivelati in una conflagrazione d'odio; le vittime crollano sotto i piedi.
Chi guidava e chi seguiva e perché le fiamme fioriscono nell'oscurità e ogni sguardo, ignaro, sprovveduto, si posa, nella luce del mattino, sull'eredità del risentimento scatenato? Non mi faccio ingannare dalle grida di orrore. Non mi faccio commuovere dalla manifestazione della sofferenza. Perché ricordo la notte tremenda; il viso guizzante nelle pozze di sangue, illuminate dal fuoco, era il mio.
Chi era questo forestiero, quindi, con il suo volto familiare? Si confonde fra la folla nell'onda vorticosa, caotica, e il sangue che infuria nella tempesta del mio cranio ribolle febbrile mentre mi getto avanti e stermino tutte queste vite innocenti, il mio odio per la loro debolezza un calderone rovesciato, mentre annego nella mia stessa debolezza, questo forestiero, questo forestiero...
L'alba in cui mi sono tolto la vita Il Pogrom degli Wickan Kayessan
CAPITOLO VENTITRE
I Gemelli stavano ritti sulla loro torre mentre, sotto, il massacro cominciava e i dadi rimbalzavano selvaggi con loro grande gioia; ma improvvisamente si fecero amari, e quel loro gioco - con i mortali che sanguinavano e piangevano nel buio, lo videro cambiare, e seguire un vento nuovo, un vento non loro. E così i Gemelli furono giocati a loro volta, oh come furono giocati.
La Luna dell'Uccisore Vatan Utor
CAPITOLO VENTIQUATTRO
Tirate un respiro, un respiro profondo, e ora trattenetelo, amici miei, trattenetelo a lungo perché il mondo il mondo annega
Wu
EPILOGO In un viaggio per le terre desolate, trovai un dio che, inginocchiato, spingeva le mani dentro la sabbia ancora e ancora; e ogni volta le sollevava a guardare i granelli inerti colare giù.
Smontando dal mio cavallo stanco, mi portai di fronte a quest'apparizione, con le sue mani polverose e guardai per qualche tempo i cicli del loro movimento finché essa non alzò uno sguardo supplichevole.
«Dove», chiese questo dio, «sono i miei figli?».
I Credenti Perduti Fisher
Edited by SparklingLu - 11/11/2020, 13:42
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