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Epigrafi, Raccolta delle epigrafi di Venti di ;orte

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view post Posted on 11/11/2020, 10:35     +4   +1   -1
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Soldato

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Pescara

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PROLOGO



LIBRO PRIMO


La menzogna si erge distaccata, l'inganno solitario
che ti volge le spalle, da qualunque parte venga
il tuo approccio riluttante, e a ogni passo
il tuo obiettivo si allontana, il tuo cammino è sviato,
il sentiero si ripiega su se stesso; continui a girare
e quella che si ergeva davanti a te,
errabonda come la sventura, un'asserzione fortuita,
ora rivela la sua legione di figli, questa massa
che formicola fra fili e nodi; circondato,
tu non puoi respirare, non puoi muoverti.

Il mondo è una tua creazione e un giorno,
amico mio, ti ergerai da solo in mezzo
a un mare di morti, attorniato dagli appigli delle tue parole,
e il vento ti aprirà, ridendo, un nuovo sentiero
verso un tormento infinito;
l'inganno solitario è la sua solitudine, la menzogna
è la menzogna che si erge distaccata, i fili e i nodi
della moltitudine si stringono nel legittimo giudizio
con cui, un tempo, tanto liberamente strangolavi
ogni portatore di verità, ogni voce di dissenso.

Così, ora allevia la tua sete con la mia comprensione
e muori, la gola riarsa, nella terra desolata.

Frammento trovato il giorno
in cui la poetessa Tesora Veddict
fu arrestata dai Patriottisti
(sei giorni prima del suo Annegamento)

CAPITOLO UNO

Due forze, un tempo ferocemente opposte, ora si trovarono
praticamente compagne di letto, anche se nessuna riusciva
a decidere quale delle due fosse finita per prima
con le gambe aperte.
I semplici fatti sono questi: l'originaria struttura gerarchica
delle tribù Tiste Edur si dimostrò confacente
al sistema di governo Letherii tramite la ricchezza.
Gli Edur divennero la corona che si posò con facilità
sulla boriosa ingordigia Letherii; ma una corona possiede
volontà? Colui che la porta si piega sotto il suo peso?
Un'altra verità è ora, a posteriori, evidente. Per quanto
omogenea sembrasse questa congiunzione, un'unione
più elusiva, e molto più letale, si verificò
sotto la superficie:
quella dei difetti caratteristici di ogni sistema, che
doveva rivelarsi una mistura altamente volatile.

La Dinastia Hiroth (Volume XVII)
La Colonia, storia di Lether

Dinith Arnara

CAPITOLO DUE

Il momento del risveglio attende tutti noi
su una soglia o dove la strada gira
se la vita viene richiamata; scintille come moscerini
verso quest'unica scheggia di tempo scintillante
tal sole sull'acqua, noi ci aggregheremo
in una massa rimpicciolita, venata di paure
e percorsa da tutto ciò che è improvvisamente
prezioso; e l'ora è inghiottita,
il peso del sé una schiacciante immediatezza.
In questo giorno, in cui la strada gira,
arriva il momento del risveglio.

Riflessioni invernali
Corara di Drene


CAPITOLO TRE


Incontrammo il demone sul pendio orientale della Catena di Radagar.
Giaceva in una gola superficiale formata da una piena improvvisa, e il puzzo che pervadeva l'aria calda ci parlò di carne putrefatta; e in realtà, tramite un esame, condotto con la massima cautela in quel giorno, che seguiva l'imboscata al nostro accampamento da parte di ignoti assalitori, scoprimmo che il demone era, benché ancora vivo, ferito a morte.
Come descrivere una simile orrida entità?
Ritto in piedi, sarebbe stato in equilibrio su due zampe posteriori dai muscoli enormi, analoghe a quelle di uno shaba, l'uccello, incapace di volare, presente sulle isole dell'Arcipelago Draconiano, però molto più grosse. L'anca sarebbe arrivata al livello di un occhio umano. La coda lunga, il peso del torso equamente bilanciato dai fianchi, il lungo collo e la testa spinti in avanti, a rendere la spina dorsale orizzontale. Due lunghi arti anteriori, fittamente circondati da muscoli e da scaglie indurite che fornivano un'armatura naturale, terminavano, non in mani o in artigli ghermenti, ma in gigantesche spade, dalla lama di ferro, che sembravano fuse, metallo contro osso, con i polsi.
La testa sfociava in un muso simile a quello di un coccodrillo, quali se ne trovano nel fango del litorale meridionale del Mare della Rosa Blu, ma molto più grande. L'essiccazione aveva fatto ritrarre le labbra, rivelando file irregolari di denti acuminati, ognuno lungo come un pugnale.
Gli occhi, offuscati dalla morte imminente, erano tuttavia misteriosi e inquietanti ai nostri sensi.
L'Atri-Preda, coraggioso come sempre, avanzò per liberare il demone dalla sua sofferenza, infilando la spada nel tessuto molle della gola. Ferito in questo modo fatale, il demone cacciò un grido di morte che ci arrecò dolore perché, benché il suono fosse al di là del nostro campo uditivo, esso esplose nel nostro cervello con tale ferocia che sangue uscì dalle nostre narici, dai nostri occhi, dalle nostre orecchie.
Un altro particolare è degno di essere menzionato, prima che vi descriva la portata delle lesioni. Le ferite visibili sul demone erano assai curiose. Tagli allungati, ricurvi, forse provocati da qualche sorta di tentacolo, ma un tentacolo che avesse denti aguzzi; mentre altre ferite erano più corte, ma più profonde, invariabilmente inferte a regioni essenziali alla locomozione o a membra dalle funzioni simili, con tendini recisi, e così via...

L'Amministratore Breneda Anict,
Spedizione nelle terre selvagge
Annali ufficiali di Pufanan Ibyris

CAPITOLO QUATTRO


L'ammutinamento arrivò in quella terribile alba, quando, attraverso le fitte foschie che ci tormentavano da dieci giorni, guardammo a oriente, e là vedemmo levarsi dei draghi, vasti e innumerevoli sull'orizzonte cinto di nubi.
Troppo grandi per essere compresi appieno, la testa sopra il sole, le ali ripiegate verso il basso a gettare un'ombra che avrebbe potuto inghiottire l'intera Drene. Questo era troppo; troppo spaventoso persino per i soldati più esperti della nostra truppa, perché i loro occhi scuri erano sopra di noi, uno sguardo alieno che prosciugava il sangue dai nostri cuori, il ferro dalle nostre spade e dalle nostre lance.
Camminare in quelle ombre avrebbe fatto tremare un campione del Primo Impero. Non potevamo affrontare una simile sfida e, anche se espressi la mia furia, la mia smania, era soltanto l'incoraggiamento richiesto a un qualunque capo spedizione e, in realtà, non avevo alcuna intenzione di esigere dalla mia compagnia l'ardimento che a me stesso mancava. L'incoraggiamento è una cosa pericolosa, perché si potrebbe avere successo là dove non si vuole. Per cui, posi fine al mio sdegno, forse troppo facilmente; ma nessuno se ne avvide, sollevati com'erano tutti quanti, mentre levavamo il campo, caricavamo i muli, e volgevamo verso occidente.

Dopo quattro giorni nelle terre selvagge
Thrydis Addanict

CAPITOLO CINQUE


L'affronto ferì i nostri decantati ideali molto tempo fa, ma è difficile misurare tali colpi, alzarsi e puntare un dito contro quel posto, quel momento, e dire: qui, amici miei, qui è dove il nostro onore, la nostra integrità, sono morti.
Il colpo era troppo scialbo, troppo un prodotto della nostra rinuncia a una cura e a uno sguardo attenti.
Il significato delle parole perse la sua precisione; e nessuno si preoccupò di rimproverare coloro che cinicamente abusavano di quelle parole per servire le proprie ambizioni, la propria evasione dalla responsabilità personale. Menzogne non vennero contrastate, la condotta legittima divenne un'impostura, infiltrata dalla corruzione, e la giustizia stessa divenne una merce, mutevole nel suo squilibrio.
La verità fu persa, una chimera rimodellata per corrispondere a progetti e pregiudizi; si consegnò così l'intero sistema politico a uno spettacolo teatrale di falsa indignazione, pose ipocrite e diffuso disprezzo per il popolo comune.
Una volta abbandonati, gli ideali e l'onore creato dalla loro affermazione non possono più essere recuperati, tranne, ahimè, tramite l'assoluto, incontrollato rifiuto, invariabilmente istigato dal popolo, in occasione di un momento particolare, di un singolo evento, dall'ingiustizia così palese che la rivoluzione diventa la sola risposta ragionevole.
Considerate questo, quindi, un avvertimento. I mentitori mentono, e continueranno a farlo, anche dopo essere stati scoperti. Mentiranno e, col tempo, tali mentitori persuaderanno se stessi; con piena convinzione, si spoglieranno di ogni colpevolezza.
Finché verrà il tempo in cui sarà espressa un'ultima menzogna, quella cui si può reagire solo con il furore, con l'omicidio spietato; e quel giorno, il sangue scorrerà giù per ogni muro di questa decantata, puerile società.

Discorso dell'imputato Semel Fural,
Presidente della Corporazione dei Fabbricanti
di Fibbie di sandalo

CAPITOLO SEI


La tesi era questa: una civiltà ammanettata alle costrizioni dell'eccessivo controllo sul volgo, dalla scelta della religione fino alla produzione dei beni, prosciugherà la volontà e l'ingegnosità del suo popolo, che non riceve più sufficienti incentivi o ricompense per queste doti. A prima vista, si può definire esatta. I problemi arrivano quando gli oppositori di un simile sistema ne istituiscono uno perfettamente contrario, in cui l'individualismo diventa divino e sacrosanto, e non è possibile un più grande servizio a nessun altro ideale (incluso quello comunitario). In un tale sistema, l'avidità vorace prospera dietro la maschera della libertà, e i peggiori aspetti della natura umana vengono in evidenza, una sorta di intransigenza tanto feroce e insensata quanto il suo corrispondente maternalistico.
E così, nello scontro di questi due sistemi estremi, si assiste a una brutale stupidità e a un'insensibilità macchiata di sangue; due volti ostili si fulminano con lo sguardo da una distanza insondabile, e tuttavia, nell'azione, nell'espressione fanatica, non sono che riflessi speculari.
La cosa sarebbe divertente, se non fosse così pateticamente idiota...

In difesa della compassione
Denabaris di Letheras, IV secolo

LIBRO SECONDO


Chi ora corre sulla mia pista
divorando la distanza
per quanto veloce io fugga, il fiato
sprecato della mia fretta gettato nel vento;
e questi cani trionferanno
trascinandomi giù con gioia ululante
perché le bestie sono predestinate
addestrate a un'ardita vendetta
dalla mia stessa mano e dalla mia stessa verga
e nessun dio verrà in mio soccorso
né mi fornirà rifugio, anche se
dovessi implorare l'assoluzione;
i segugi dei miei atti appartengono
soltanto a me, da tempo cacciano
e ora la caccia finisce.

Canto della colpa
Bet'netrask

CAPITOLO SETTE
Due volte più lontano di quanto pensi
metà della distanza che temi
troppo sottile sotto di te
e ben al di là della tua testa
di gran lunga più intelligente
eppure stolto oltre misura
ora vuoi ascoltare la mia storia?

Racconti del bardo ubriaco
Fisher

CAPITOLO OTTO

Quando la pietra è acqua, il tempo è ghiaccio.
Quando tutto è immobilizzato dal gelo
i destini piovono in un terribile torrente.
Il mio volto rivelato, in questa pietra che è acqua.
Le increspature fermamente saldate alla sua forma
un aspetto oltremodo strano.
Le età si nasconderanno quando la pietra sarà acqua.
I cicli legati in questi abissi
sono imperfette illusioni che spezzano il ruscello.
Quando la pietra è acqua, il tempo è ghiaccio.
Quando tutto è immobilizzato dal gelo
le nostre vite sono pietre nel torrente.
E noi pioviamo, pioviamo giù
come acqua sulla pietra
a ogni colpo della mano.

Acqua e pietra
L'Anziano Fent


CAPITOLO NOVE


Ovunque guardassi, vedevo i segni della guerra sul paesaggio. Lì gli alberi avevano sormontato l'altura, mandando giù per il pendio schermagliatori a sfidare l'arrogante bassa vegetazione nel letto del fiume, che era stato secco come un osso fino alla rottura delle dighe di ghiaccio su nelle montagne, quando il sole selvaggio aveva teso un'improvvisa imboscata, praticato un assedio capace di spezzare le antiche barricate e scatenare torrenti d'acqua sui bassopiani.
E qui, su questo ripiegamento della roccia, le vecchie cicatrici dei ghiacciai svanivano sotto l'avanzata di muschi, di divoranti colonie di licheni a loro volta in lotta contro i propri simili.
Formiche gettavano ponti sulle crepe nella pietra; l'aria al di sopra turbinava di termiti alate, che morivano in silenzio fra le mascelle serrate di rhizan, impegnati in continui volteggi per evitare predatori celesti ancora più feroci.
Tutte queste guerre proclamavano la verità della vita, dell'esistenza stessa. Ora chiediamoci: dobbiamo scusare ogni nostra azione citando tali leggi antiche, onnipresenti? O possiamo dichiarare il nostro libero arbitrio contrastando la nostra naturale propensione per la violenza, il dominio, il massacro? Tali erano i miei pensieri, cinici e puerili, mentre mi ergevo, trionfante, sopra l'ultimo uomo da me ucciso, la sua linfa vitale un rivolo sempre più sottile lungo la lama della mia spada, nella mia anima un'ondata di piacere tanto intenso da lasciarmi tremante...

Il Re Kilanbas nella Valle di Ardesia
Terza Marea di Letheras, le Guerre di Conquista

CAPITOLO DIECI


L'Unico Dio uscì, una marionetta trascinante fili spezzati, dalla conflagrazione. Un'altra città distrutta, un altro popolo ridotto di decine di migliaia. Chi, fra noi, assistendo alla sua comparsa, poteva fare a meno di concludere che l'avesse assalito la follia? Con tutto il suo potere di creazione, non infliggeva altro che morte e distruzione. Ladro della Vita, Uccisore e Mietitore, nei suoi occhi, dove attimi prima c'era stata la fiamma della collera irragionevole, ora c'era la calma. Non sapeva nulla. Non riusciva a comprendere il sangue sulle proprie mani. Implorò risposte da noi, ma noi restammo muti.
Potevamo piangere. Potevamo ridere.
Scegliemmo il riso.

Credo degli Sbeffeggiatori
Cabal

CAPITOLO UNDICI

Mare senz'acqua
sparge ossa candide
appiattite e sbiancate
come pergamena
dove ho camminato.

Ma questo scarabocchio
che graffia la mia scia
è senza storia
privo di indumenti
per vestire il mio fato.

Il cielo ha donato le sue nubi
a qualche brusco vento
che mai spinge a terra
queste secche rivelate
lungo sentieri non percorsi.

Il vento solleva ondate
non viste nel guscio
il calice di una promessa irrealizzata
la rancida menzogna del sale
che mi morde la lingua.

Abitavo presso un mare, una volta
e incidevo storie
lungo il litorale infinito
in pagine ondulate
di alghe e di relitti.

Voci del Mare
Fisher kel Tath


CAPITOLO DODICI


Ho guardato a occidente e ho visto mille soli che tramontavano.

Sidivar Trelus

LIBRO TERZO


Siamo ansiosi
Di impugnare la bestia accovacciata
Nelle nostre anime
Ma questa creatura è pura
Con occhi timidi
E osserva i nostri crimini sfrenati
Acquattandosi
Nella gabbia della nostra crudeltà

Prenderò
Per me stesso il tuo destino
In queste mani
La grazia di un animale per modificare
I sogni spezzati
La libertà corre
Priva di catene e di legami
La bestia ucciderà quando io ucciderò

Nel perdono
Un elenco di inosservate distinzioni
Giovò a queste mani
Libertà senza giustificazione
Vedi come è puro
Questo sangue paragonato al tuo
Il sorriso di morte
Del tuo ringhio bestiale deturpa il panorama

Del tuo viso
È questo ciò che ci separa
Nelle nostre anime
Io e la mia bestia incatenati insieme
Come deve essere
Chi conduce e chi è condotto
Innocenza e fascino
Non vengono mai cercati

Cani in un vicolo, Confessioni
Tibal Feredict

CAPITOLO TREDICI


Del relitto restavano chiglia e metà scafo e fu lì che noi naufraghi ci riunimmo, e quando ci calammo giù in quel letto di costole piegate, la tempesta della notte passata aleggiava ancora nell'aria. Ne udii molti recitare una preghiera, vidi mani che si agitavano per allontanare timori e incubi come si addice al bisogno di ciascuna anima, la cui conversazione con la paura inizia nell'infanzia e, se avessi potuto ricordare la mia, anch'io avrei mimato la fuga dalla paura.
Per come stavano le cose potei soltanto abbassare lo sguardo su quel raccolto di minuscoli scheletri di granchi, gli spiritelli con la coda dal volto umano, gli artigli da falco e ogni sorta di strano ornamento per descrivere minutamente il luminoso e assolato incubo.
Non c'è da stupirsi se quel giorno io abbandonai il mare. La tempesta e la nave spezzata avevano svegliato un ospite assai malvagio e, oh, sicuramente ce n'erano molti altri a infestare quella dannata isola.
E fui io a pronunciare il più disgustoso scompiglio di parole. «Immagino che non tutti gli spiritelli possano volare».
Ma ciononostante, non mi sembra fosse motivo sufficiente per cavarmi gli occhi, no?

Tobor il Cieco del Braccio

CAPITOLO QUATTORDICI

Presi la scodella di pietra
Tra le mani
E versai il mio tempo
Sul terreno
Affogando insetti sventurati
Nutrendo gli steli d'erba
Fino a quando il sole
Guardò in basso
E rubò la macchia.

Nel vedere nel contenitore
Un centinaio di incrinature
Mi girai indietro
A guardare da dove ero venuto
E vidi un sentiero verde
Di ricordi perduti
Chiunque abbia creato questa ciotola
Era uno stolto ma ancora di più
Lo era chi la portò.

Ciotola di pietra
Fisher kel Tath

CAPITOLO QUINDICI

Striscia giù sole questo non è il tuo tempo
Onde nere scivolano sotto la luna inguainata
sulla spiaggia una tempesta silenziosa
una volontà indomita
si solleva dalla schiuma rossa
Correte ai vostri rifugi in montagna voi nuvole di ferro
per lasciare al mare i suoi rifiuti danzanti di stelle
su questa moltitudine di maree di mezzanotte
Evoca e gonfia la tua tempesta
solleva come teste squamose dalle cieche profondità
tutta la tua forza splendente in occhi irrequieti e curiosi
Indietreggiate foreste vacillanti questa notte
le onde nere s'infrangono sulla costa oscura
per rubare la carne dalle vostre radici ossute
giunge la morte, spinge via in fredde schiere
in un vento impietoso questo terrore questo sangue
questo vento di morte.

L'imminente tempesta
Reffer

CAPITOLO SEDICI

Ogni campo di battaglia
conserva le sue grida
Piantate come radici
tra i sassi
e le armature spezzate,
le armi sparse,
le fibbie di pelle a marcire
nella terra.
I secoli non sono nulla
per quelle voci,
per quelle anime offese.
Sono morte nel presente
E il presente è per sempre.

Le pianure di abeti
Rael di Longspit

CAPITOLO DICIASSETTE

Quando vado a caccia
Il mondo grida
E rotola via
Si allontana
Il mondo gira
Indietreggia e respinge
Sobbalzando alla mia puntura
Al mio tocco innocente
Così è cercare
La risposta del mondo
È una replica intrappolata
Non vuole vedere
Non vuole sapere
Volere è mancare
E morire muti
Questi passi sempre solitari
Riconoscendo che cosa significa
Essere soli
Gridando al mondo
Rotolando via
Come nella sua caccia
E ti trova.

Caccia
Gaullag della Sorgente


CAPITOLO DICIOTTO


La visione così accordata era una panoramica per rispondere al mio ultimo giorno nel mondo mortale. La marcia di pietre sbozzate, menhir e rygolith mostrava in quelle ininterrotte ombre la schiera di volti impassibili, i ghigni e i sibili dell'oltretomba, denti scoperti per minacciare, lo stuolo infinito di dei radicati e spiriti che si allungavano giù per la china, collina dopo collina, fino a perdersi alla vista, oltre l'immagine di quegli occhi sformati, strizzati. E in quei leali belligeranti, ognuno dei quali nel suo giorno di fama allungò mani fameliche, artigliate, il tocco cremisi della fede in tutte le sue rivendicazioni sul nostro tempo, la nostra vita, i nostri affetti e le nostre paure, non era altro che mistero, qualsiasi riconoscimento dimenticato, abbandonato al lento avanzamento dello spietato cambiamento. Le loro voci perdute cavalcarono quel vento disperato? Io tremai all'eco del sangue implorante, alla lacerazione della carne di giovani vergini e allo stupore di un cuore svelato, agli ultimi confusi battiti di insistente indignazione? Caddi in ginocchio davanti a questa spaventosa successione di sacra tirannia, come farebbe l'ignorante che si acquatta fra le ombre?
Gli eserciti dei fedeli se n'erano andati. Marciando via in onde di polvere e cenere. Sacerdoti e sacerdotesse, coloro che avevano ceduto alla speranza e che esprimevano le loro convinzioni con la sete disperata di demoni che raccoglievano anime timorose nel loro personale significato di benessere, restavano accucciati nelle crepe dei loro idoli, pezzetti di fragili ossa incastrate nella fragilità della pietra, quello e niente di più.
La visione così accordata è la maledizione dello storico. Infinite lezioni sull'inutilità dei giochi del'intelletto, dell'emozione e della fede.
Gli unici storici utili, io sostengo, sono quelli che concludono la loro vita con l'atto conciso del suicidio.

Sesta Nota, Volume II, Raccolta di note suicide
Storico Brevis (l'Indeciso)

LIBRO QUARTO


Sono andato alla ricerca della morte
Tra i resti crollati
Nella navata centrale di un tempio
Sono andato alla ricerca tra i fiori
Annuendo alle parole del vento
Tristi racconti di guerra
Sono andato tra le fosse di scolo
Dove scorre il sangue
Dietro alle tende delle donne
Tutti i bambini che non sono mai stati

E nella tempesta di ghiaccio e onde
Sono andato alla ricerca degli annegati
Tra molluschi ossuti e vermi spuntati
Dove i granelli turbinavano
E ognuno gridava
Il suo nome la sua vita il suo smarrimento
Sono andato sulle vie della corrente
Che mi hanno portato in luoghi sconosciuti

E nelle nebbie silenziose e lontane
Dove la luce stessa scivola incerta
Sono andato alla ricerca di spiriti saggi
Che mormoravano le loro verità in terreni oscuri
Ma il muschio era silenzioso, troppo umido
Per ricordare la mia ricerca
Per scoprire dove i mietitori seminano
Tagliando steli per agguantare la stagione
Ho fallito nella mia fiera ricerca

Sotto una lama di selce falciante
E sdraiato smarrito nell'estate
Spogliato mentre il suo caldo carapace
Di giovanile promessa veniva cacciato via
Nel cielo reliquiario dell'autunno
Fino a quando le ossa della notte
Erano unghie luccicanti nel freddo
Oblio, e l'oscura morte
Scese a cercarmi.

Prima di Q'uson Tapi
Toc Anaster

CAPITOLO DICIANNOVE


La grande cospirazione tra i regni di Saphinand, Bolkando, Ak'ryn e D'rhasilhani, che culminò nella terribile Guerra delle Terre Orientali, fu sotto molti aspetti profondamente ironica. Per cominciare, non c'era stata alcuna cospirazione. La snervante minaccia politica era infatti una falsità, creata e fomentata da potenti interessi economici a Lether; e, bisogna aggiungere, non solo economici. La minaccia di un terribile nemico permise l'imposizione di restrizioni sulla popolazione dell'impero che andarono a tutto vantaggio degli intermediari dell'élite; e li avrebbero sicuramente resi ricchi se non fosse stato per l'accidentale crollo finanziario avvenuto nel momento meno opportuno della storia Letherii. Ad ogni modo, i regni e le nazioni di confine a est non poterono non avvertire l'imminente minaccia, soprattutto con la campagna in corso contro gli Awl nelle pianure settentrionali. Così venne creata una grandiosa alleanza, e coi sopracitati incentivi stranieri, la guerra esplose lungo tutta la frontiera orientale.
Associata, non del tutto casualmente, all'invasione punitiva iniziativa sulla costa nordoccidentale, è fuori di dubbio che l'Imperatore Rhulad Sengar si sentisse assediato...

Le ceneri dell'ascesa,
Storia di Lether, Volume IV

Calasp Hivanar

CAPITOLO VENTI

Noi viviamo nell'attesa
Di ciò che è più prezioso:
Il nostro dio dagli occhi chiari
Che cammina nella desolazione
Delle nostre esistenze
Con la paglia legata
Di una scopa
E con un sorriso radioso
Questo dio spazza in un angolo
La nostra moltitudine di crimini
Le sfibrate rimostranze
Noi sputiamo sul mattino
A ogni levar del sole

Noi viviamo nell'attesa, sì
In preziosa quiescenza
Le nostre virtù gelate
A seminare i semi della perdita
Nella terra calda della vita
In mano il gelido ferro
Di armi
E con luminosa ricompensa
Bagniamo questo terreno
Sotto il cielo sereno
Con il sangue del nostro dio
Sputato e vomitato
Con rigoroso disprezzo.

Il nostro dio in attesa
Cormour Fural


CAPITOLO VENTUNO

Indica loro la strada verso la spiaggia, e guardali entrare nel mare.
Dai loro tutto ciò di cui hanno bisogno, guardali anelare tutto ciò che vogliono
Dona loro la calma pozza delle parole, guardali sguainare la spada.
Fai scendere su di loro l'appagamento della pace, guardali desiderare la guerra.
Dona loro l'oscurità e loro brameranno la luce.
Colpiscili con la morte e ascoltali implorare la vita.
Genera la vita e loro uccideranno i tuoi figli.
Sii come loro e loro ti vedranno diverso.
Mostra saggezza ma tu sei uno sciocco.
La spiaggia lascia spazio al mare.
E il mare, amici miei,
Non sogna voi.

Preghiera Shake

CAPITOLO VENTIDUE

Le ombre giacciono sul campo come morti
Della battaglia della notte mentre il sole solleva
i suoi stendardi
Nell'aria dolce di rugiada

I bambini si levano come fiori sugli steli
Per cantare canzoni prive di parole che da tempo abbiamo dimenticato
E le api danzano con grande solerzia

Potresti ammirare questo spettacolo con il favore divino
Anche mentre posi nella tua mano il peso della spada
E lasci vagare lo sguardo per la spianata

E prometti al sole un altro giorno di sangue

Senza Titolo
Toc Anaster

CAPITOLO VENTITRE

Ho visto il volto del dolore
Guardava lontano
Oltre questi ponti
Da dove io sono giunto
E quelle campate con archi e travatura reticolare
Sostengono le nostre vite mentre torniamo indietro
A come la pensavamo allora
A come pensavamo di pensare allora
Ho visto il volto del dolore,
Ma è sempre rivolto altrove
E le sue parole mi lasciano cieco
I suoi occhi mi rendono muto
Non capisco che cosa mi dice
Non so se obbedire
O lasciarmi andare alle lacrime
Ho visto il suo volto
Lui non piange
Lui non mi conosce
Poiché io non sono altro che una pietra
Del ponte su cui lui cammina

Lai degli Arsori di Ponti
Toc il Giovane

CAPITOLO VENTIQUATTRO

Se questi erano i nostri ultimi giorni
Se tutti coloro i cui occhi possono guardare dentro
Ora passavano di là
Chi sarebbe rimasto ad affliggersi?

Mentre abbassiamo la testa
Assediati dal fallimento dell'ambizione
Gli occhi vedono e sono indifferenti
Gli occhi sono testimoni e sono incuranti.

La fredda considerazione delle statue
A guardia della perfetta piazza
È immutabile come
La dolce resa della storia

E solo le creature danzanti
Dentro e fuori dalle nostre bocche spalancate
Odono il vento gemere
La sua voce vuota e svuotata.

Così in questi nostri ultimi giorni
La fine di ciò che vediamo è dentro
Dove tutto ebbe inizio e non inizierà mai più
La tregua di un attimo, poi cade l'oscurità.

La danza invisibile
Fisher kel Tath

EPILOGO

Lei attraversò il velo del crepuscolo
E giunse a cena
Alla Porta della Pazzia.

Dove i vivi giocavano con la morte
E si affollavano trionfanti
Alla Porta della Pazzia.

Dove i morti beffeggiavano i vivi
E raccontavano storie inutili
Alla Porta della Pazzia.

Lei giunse per deporre il suo nuovo bambino
Là sull'altare macchiato
Alla Porta della Pazzia.

«Questo», lei disse, «è ciò che dobbiamo fare,
In speranza e umiltà
Alla Porta della Pazzia».

E il bambino pianse nella notte
Per annunciare l'arrivo
Alla Porta della Pazzia.

Ora abbiamo sognato a sufficienza tutto ciò?
La nostra promessa di sofferenza
Alla Porta della Pazzia?

Abbasserai lo sguardo sul suo nuovo volto
E sussurrerai canzoni di dolore
Alla Porta della Pazzia?

Prendendo in mano la chiave dentellata
Per liberare un futuro spezzato
Alla Porta della Pazzia?

Allora racconta al bambino la tua storia inutile
Tutti i tuoi giochi con la morte
Alla Porta della Pazzia.

Noi che stiamo qui l'abbiamo già sentita
Perché questo è l'altro lato
Della Porta della Pazzia.

Preghiera del Bambino
I Monaci Mascherati di Cabal




Edited by SparklingLu - 11/11/2020, 13:53
 
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