| PROLOGO
LIBRO PRIMO La menzogna si erge distaccata, l'inganno solitario che ti volge le spalle, da qualunque parte venga il tuo approccio riluttante, e a ogni passo il tuo obiettivo si allontana, il tuo cammino è sviato, il sentiero si ripiega su se stesso; continui a girare e quella che si ergeva davanti a te, errabonda come la sventura, un'asserzione fortuita, ora rivela la sua legione di figli, questa massa che formicola fra fili e nodi; circondato, tu non puoi respirare, non puoi muoverti.
Il mondo è una tua creazione e un giorno, amico mio, ti ergerai da solo in mezzo a un mare di morti, attorniato dagli appigli delle tue parole, e il vento ti aprirà, ridendo, un nuovo sentiero verso un tormento infinito; l'inganno solitario è la sua solitudine, la menzogna è la menzogna che si erge distaccata, i fili e i nodi della moltitudine si stringono nel legittimo giudizio con cui, un tempo, tanto liberamente strangolavi ogni portatore di verità, ogni voce di dissenso.
Così, ora allevia la tua sete con la mia comprensione e muori, la gola riarsa, nella terra desolata.
Frammento trovato il giorno in cui la poetessa Tesora Veddict fu arrestata dai Patriottisti (sei giorni prima del suo Annegamento)
CAPITOLO UNO
Due forze, un tempo ferocemente opposte, ora si trovarono praticamente compagne di letto, anche se nessuna riusciva a decidere quale delle due fosse finita per prima con le gambe aperte. I semplici fatti sono questi: l'originaria struttura gerarchica delle tribù Tiste Edur si dimostrò confacente al sistema di governo Letherii tramite la ricchezza. Gli Edur divennero la corona che si posò con facilità sulla boriosa ingordigia Letherii; ma una corona possiede volontà? Colui che la porta si piega sotto il suo peso? Un'altra verità è ora, a posteriori, evidente. Per quanto omogenea sembrasse questa congiunzione, un'unione più elusiva, e molto più letale, si verificò sotto la superficie: quella dei difetti caratteristici di ogni sistema, che doveva rivelarsi una mistura altamente volatile.
La Dinastia Hiroth (Volume XVII) La Colonia, storia di Lether Dinith Arnara
CAPITOLO DUE
Il momento del risveglio attende tutti noi su una soglia o dove la strada gira se la vita viene richiamata; scintille come moscerini verso quest'unica scheggia di tempo scintillante tal sole sull'acqua, noi ci aggregheremo in una massa rimpicciolita, venata di paure e percorsa da tutto ciò che è improvvisamente prezioso; e l'ora è inghiottita, il peso del sé una schiacciante immediatezza. In questo giorno, in cui la strada gira, arriva il momento del risveglio.
Riflessioni invernali Corara di Drene
CAPITOLO TRE Incontrammo il demone sul pendio orientale della Catena di Radagar. Giaceva in una gola superficiale formata da una piena improvvisa, e il puzzo che pervadeva l'aria calda ci parlò di carne putrefatta; e in realtà, tramite un esame, condotto con la massima cautela in quel giorno, che seguiva l'imboscata al nostro accampamento da parte di ignoti assalitori, scoprimmo che il demone era, benché ancora vivo, ferito a morte. Come descrivere una simile orrida entità? Ritto in piedi, sarebbe stato in equilibrio su due zampe posteriori dai muscoli enormi, analoghe a quelle di uno shaba, l'uccello, incapace di volare, presente sulle isole dell'Arcipelago Draconiano, però molto più grosse. L'anca sarebbe arrivata al livello di un occhio umano. La coda lunga, il peso del torso equamente bilanciato dai fianchi, il lungo collo e la testa spinti in avanti, a rendere la spina dorsale orizzontale. Due lunghi arti anteriori, fittamente circondati da muscoli e da scaglie indurite che fornivano un'armatura naturale, terminavano, non in mani o in artigli ghermenti, ma in gigantesche spade, dalla lama di ferro, che sembravano fuse, metallo contro osso, con i polsi. La testa sfociava in un muso simile a quello di un coccodrillo, quali se ne trovano nel fango del litorale meridionale del Mare della Rosa Blu, ma molto più grande. L'essiccazione aveva fatto ritrarre le labbra, rivelando file irregolari di denti acuminati, ognuno lungo come un pugnale. Gli occhi, offuscati dalla morte imminente, erano tuttavia misteriosi e inquietanti ai nostri sensi. L'Atri-Preda, coraggioso come sempre, avanzò per liberare il demone dalla sua sofferenza, infilando la spada nel tessuto molle della gola. Ferito in questo modo fatale, il demone cacciò un grido di morte che ci arrecò dolore perché, benché il suono fosse al di là del nostro campo uditivo, esso esplose nel nostro cervello con tale ferocia che sangue uscì dalle nostre narici, dai nostri occhi, dalle nostre orecchie. Un altro particolare è degno di essere menzionato, prima che vi descriva la portata delle lesioni. Le ferite visibili sul demone erano assai curiose. Tagli allungati, ricurvi, forse provocati da qualche sorta di tentacolo, ma un tentacolo che avesse denti aguzzi; mentre altre ferite erano più corte, ma più profonde, invariabilmente inferte a regioni essenziali alla locomozione o a membra dalle funzioni simili, con tendini recisi, e così via...
L'Amministratore Breneda Anict, Spedizione nelle terre selvagge Annali ufficiali di Pufanan Ibyris
CAPITOLO QUATTRO L'ammutinamento arrivò in quella terribile alba, quando, attraverso le fitte foschie che ci tormentavano da dieci giorni, guardammo a oriente, e là vedemmo levarsi dei draghi, vasti e innumerevoli sull'orizzonte cinto di nubi. Troppo grandi per essere compresi appieno, la testa sopra il sole, le ali ripiegate verso il basso a gettare un'ombra che avrebbe potuto inghiottire l'intera Drene. Questo era troppo; troppo spaventoso persino per i soldati più esperti della nostra truppa, perché i loro occhi scuri erano sopra di noi, uno sguardo alieno che prosciugava il sangue dai nostri cuori, il ferro dalle nostre spade e dalle nostre lance. Camminare in quelle ombre avrebbe fatto tremare un campione del Primo Impero. Non potevamo affrontare una simile sfida e, anche se espressi la mia furia, la mia smania, era soltanto l'incoraggiamento richiesto a un qualunque capo spedizione e, in realtà, non avevo alcuna intenzione di esigere dalla mia compagnia l'ardimento che a me stesso mancava. L'incoraggiamento è una cosa pericolosa, perché si potrebbe avere successo là dove non si vuole. Per cui, posi fine al mio sdegno, forse troppo facilmente; ma nessuno se ne avvide, sollevati com'erano tutti quanti, mentre levavamo il campo, caricavamo i muli, e volgevamo verso occidente.
Dopo quattro giorni nelle terre selvagge Thrydis Addanict
CAPITOLO CINQUE L'affronto ferì i nostri decantati ideali molto tempo fa, ma è difficile misurare tali colpi, alzarsi e puntare un dito contro quel posto, quel momento, e dire: qui, amici miei, qui è dove il nostro onore, la nostra integrità, sono morti. Il colpo era troppo scialbo, troppo un prodotto della nostra rinuncia a una cura e a uno sguardo attenti. Il significato delle parole perse la sua precisione; e nessuno si preoccupò di rimproverare coloro che cinicamente abusavano di quelle parole per servire le proprie ambizioni, la propria evasione dalla responsabilità personale. Menzogne non vennero contrastate, la condotta legittima divenne un'impostura, infiltrata dalla corruzione, e la giustizia stessa divenne una merce, mutevole nel suo squilibrio. La verità fu persa, una chimera rimodellata per corrispondere a progetti e pregiudizi; si consegnò così l'intero sistema politico a uno spettacolo teatrale di falsa indignazione, pose ipocrite e diffuso disprezzo per il popolo comune. Una volta abbandonati, gli ideali e l'onore creato dalla loro affermazione non possono più essere recuperati, tranne, ahimè, tramite l'assoluto, incontrollato rifiuto, invariabilmente istigato dal popolo, in occasione di un momento particolare, di un singolo evento, dall'ingiustizia così palese che la rivoluzione diventa la sola risposta ragionevole. Considerate questo, quindi, un avvertimento. I mentitori mentono, e continueranno a farlo, anche dopo essere stati scoperti. Mentiranno e, col tempo, tali mentitori persuaderanno se stessi; con piena convinzione, si spoglieranno di ogni colpevolezza. Finché verrà il tempo in cui sarà espressa un'ultima menzogna, quella cui si può reagire solo con il furore, con l'omicidio spietato; e quel giorno, il sangue scorrerà giù per ogni muro di questa decantata, puerile società.
Discorso dell'imputato Semel Fural, Presidente della Corporazione dei Fabbricanti di Fibbie di sandalo
CAPITOLO SEI La tesi era questa: una civiltà ammanettata alle costrizioni dell'eccessivo controllo sul volgo, dalla scelta della religione fino alla produzione dei beni, prosciugherà la volontà e l'ingegnosità del suo popolo, che non riceve più sufficienti incentivi o ricompense per queste doti. A prima vista, si può definire esatta. I problemi arrivano quando gli oppositori di un simile sistema ne istituiscono uno perfettamente contrario, in cui l'individualismo diventa divino e sacrosanto, e non è possibile un più grande servizio a nessun altro ideale (incluso quello comunitario). In un tale sistema, l'avidità vorace prospera dietro la maschera della libertà, e i peggiori aspetti della natura umana vengono in evidenza, una sorta di intransigenza tanto feroce e insensata quanto il suo corrispondente maternalistico. E così, nello scontro di questi due sistemi estremi, si assiste a una brutale stupidità e a un'insensibilità macchiata di sangue; due volti ostili si fulminano con lo sguardo da una distanza insondabile, e tuttavia, nell'azione, nell'espressione fanatica, non sono che riflessi speculari. La cosa sarebbe divertente, se non fosse così pateticamente idiota...
In difesa della compassione Denabaris di Letheras, IV secolo
LIBRO SECONDO Chi ora corre sulla mia pista divorando la distanza per quanto veloce io fugga, il fiato sprecato della mia fretta gettato nel vento; e questi cani trionferanno trascinandomi giù con gioia ululante perché le bestie sono predestinate addestrate a un'ardita vendetta dalla mia stessa mano e dalla mia stessa verga e nessun dio verrà in mio soccorso né mi fornirà rifugio, anche se dovessi implorare l'assoluzione; i segugi dei miei atti appartengono soltanto a me, da tempo cacciano e ora la caccia finisce.
Canto della colpa Bet'netrask
CAPITOLO SETTE Due volte più lontano di quanto pensi metà della distanza che temi troppo sottile sotto di te e ben al di là della tua testa di gran lunga più intelligente eppure stolto oltre misura ora vuoi ascoltare la mia storia?
Racconti del bardo ubriaco Fisher
CAPITOLO OTTO
Quando la pietra è acqua, il tempo è ghiaccio. Quando tutto è immobilizzato dal gelo i destini piovono in un terribile torrente. Il mio volto rivelato, in questa pietra che è acqua. Le increspature fermamente saldate alla sua forma un aspetto oltremodo strano. Le età si nasconderanno quando la pietra sarà acqua. I cicli legati in questi abissi sono imperfette illusioni che spezzano il ruscello. Quando la pietra è acqua, il tempo è ghiaccio. Quando tutto è immobilizzato dal gelo le nostre vite sono pietre nel torrente. E noi pioviamo, pioviamo giù come acqua sulla pietra a ogni colpo della mano.
Acqua e pietra L'Anziano Fent
CAPITOLO NOVE Ovunque guardassi, vedevo i segni della guerra sul paesaggio. Lì gli alberi avevano sormontato l'altura, mandando giù per il pendio schermagliatori a sfidare l'arrogante bassa vegetazione nel letto del fiume, che era stato secco come un osso fino alla rottura delle dighe di ghiaccio su nelle montagne, quando il sole selvaggio aveva teso un'improvvisa imboscata, praticato un assedio capace di spezzare le antiche barricate e scatenare torrenti d'acqua sui bassopiani. E qui, su questo ripiegamento della roccia, le vecchie cicatrici dei ghiacciai svanivano sotto l'avanzata di muschi, di divoranti colonie di licheni a loro volta in lotta contro i propri simili. Formiche gettavano ponti sulle crepe nella pietra; l'aria al di sopra turbinava di termiti alate, che morivano in silenzio fra le mascelle serrate di rhizan, impegnati in continui volteggi per evitare predatori celesti ancora più feroci. Tutte queste guerre proclamavano la verità della vita, dell'esistenza stessa. Ora chiediamoci: dobbiamo scusare ogni nostra azione citando tali leggi antiche, onnipresenti? O possiamo dichiarare il nostro libero arbitrio contrastando la nostra naturale propensione per la violenza, il dominio, il massacro? Tali erano i miei pensieri, cinici e puerili, mentre mi ergevo, trionfante, sopra l'ultimo uomo da me ucciso, la sua linfa vitale un rivolo sempre più sottile lungo la lama della mia spada, nella mia anima un'ondata di piacere tanto intenso da lasciarmi tremante...
Il Re Kilanbas nella Valle di Ardesia Terza Marea di Letheras, le Guerre di Conquista
CAPITOLO DIECI L'Unico Dio uscì, una marionetta trascinante fili spezzati, dalla conflagrazione. Un'altra città distrutta, un altro popolo ridotto di decine di migliaia. Chi, fra noi, assistendo alla sua comparsa, poteva fare a meno di concludere che l'avesse assalito la follia? Con tutto il suo potere di creazione, non infliggeva altro che morte e distruzione. Ladro della Vita, Uccisore e Mietitore, nei suoi occhi, dove attimi prima c'era stata la fiamma della collera irragionevole, ora c'era la calma. Non sapeva nulla. Non riusciva a comprendere il sangue sulle proprie mani. Implorò risposte da noi, ma noi restammo muti. Potevamo piangere. Potevamo ridere. Scegliemmo il riso.
Credo degli Sbeffeggiatori Cabal
CAPITOLO UNDICI
Mare senz'acqua sparge ossa candide appiattite e sbiancate come pergamena dove ho camminato.
Ma questo scarabocchio che graffia la mia scia è senza storia privo di indumenti per vestire il mio fato.
Il cielo ha donato le sue nubi a qualche brusco vento che mai spinge a terra queste secche rivelate lungo sentieri non percorsi.
Il vento solleva ondate non viste nel guscio il calice di una promessa irrealizzata la rancida menzogna del sale che mi morde la lingua.
Abitavo presso un mare, una volta e incidevo storie lungo il litorale infinito in pagine ondulate di alghe e di relitti.
Voci del Mare Fisher kel Tath
CAPITOLO DODICI Ho guardato a occidente e ho visto mille soli che tramontavano.
Sidivar Trelus
LIBRO TERZO Siamo ansiosi Di impugnare la bestia accovacciata Nelle nostre anime Ma questa creatura è pura Con occhi timidi E osserva i nostri crimini sfrenati Acquattandosi Nella gabbia della nostra crudeltà
Prenderò Per me stesso il tuo destino In queste mani La grazia di un animale per modificare I sogni spezzati La libertà corre Priva di catene e di legami La bestia ucciderà quando io ucciderò
Nel perdono Un elenco di inosservate distinzioni Giovò a queste mani Libertà senza giustificazione Vedi come è puro Questo sangue paragonato al tuo Il sorriso di morte Del tuo ringhio bestiale deturpa il panorama
Del tuo viso È questo ciò che ci separa Nelle nostre anime Io e la mia bestia incatenati insieme Come deve essere Chi conduce e chi è condotto Innocenza e fascino Non vengono mai cercati
Cani in un vicolo, Confessioni Tibal Feredict
CAPITOLO TREDICI Del relitto restavano chiglia e metà scafo e fu lì che noi naufraghi ci riunimmo, e quando ci calammo giù in quel letto di costole piegate, la tempesta della notte passata aleggiava ancora nell'aria. Ne udii molti recitare una preghiera, vidi mani che si agitavano per allontanare timori e incubi come si addice al bisogno di ciascuna anima, la cui conversazione con la paura inizia nell'infanzia e, se avessi potuto ricordare la mia, anch'io avrei mimato la fuga dalla paura. Per come stavano le cose potei soltanto abbassare lo sguardo su quel raccolto di minuscoli scheletri di granchi, gli spiritelli con la coda dal volto umano, gli artigli da falco e ogni sorta di strano ornamento per descrivere minutamente il luminoso e assolato incubo. Non c'è da stupirsi se quel giorno io abbandonai il mare. La tempesta e la nave spezzata avevano svegliato un ospite assai malvagio e, oh, sicuramente ce n'erano molti altri a infestare quella dannata isola. E fui io a pronunciare il più disgustoso scompiglio di parole. «Immagino che non tutti gli spiritelli possano volare». Ma ciononostante, non mi sembra fosse motivo sufficiente per cavarmi gli occhi, no?
Tobor il Cieco del Braccio
CAPITOLO QUATTORDICI
Presi la scodella di pietra Tra le mani E versai il mio tempo Sul terreno Affogando insetti sventurati Nutrendo gli steli d'erba Fino a quando il sole Guardò in basso E rubò la macchia.
Nel vedere nel contenitore Un centinaio di incrinature Mi girai indietro A guardare da dove ero venuto E vidi un sentiero verde Di ricordi perduti Chiunque abbia creato questa ciotola Era uno stolto ma ancora di più Lo era chi la portò.
Ciotola di pietra Fisher kel Tath
CAPITOLO QUINDICI
Striscia giù sole questo non è il tuo tempo Onde nere scivolano sotto la luna inguainata sulla spiaggia una tempesta silenziosa una volontà indomita si solleva dalla schiuma rossa Correte ai vostri rifugi in montagna voi nuvole di ferro per lasciare al mare i suoi rifiuti danzanti di stelle su questa moltitudine di maree di mezzanotte Evoca e gonfia la tua tempesta solleva come teste squamose dalle cieche profondità tutta la tua forza splendente in occhi irrequieti e curiosi Indietreggiate foreste vacillanti questa notte le onde nere s'infrangono sulla costa oscura per rubare la carne dalle vostre radici ossute giunge la morte, spinge via in fredde schiere in un vento impietoso questo terrore questo sangue questo vento di morte.
L'imminente tempesta Reffer
CAPITOLO SEDICI
Ogni campo di battaglia conserva le sue grida Piantate come radici tra i sassi e le armature spezzate, le armi sparse, le fibbie di pelle a marcire nella terra. I secoli non sono nulla per quelle voci, per quelle anime offese. Sono morte nel presente E il presente è per sempre.
Le pianure di abeti Rael di Longspit
CAPITOLO DICIASSETTE
Quando vado a caccia Il mondo grida E rotola via Si allontana Il mondo gira Indietreggia e respinge Sobbalzando alla mia puntura Al mio tocco innocente Così è cercare La risposta del mondo È una replica intrappolata Non vuole vedere Non vuole sapere Volere è mancare E morire muti Questi passi sempre solitari Riconoscendo che cosa significa Essere soli Gridando al mondo Rotolando via Come nella sua caccia E ti trova.
Caccia Gaullag della Sorgente
CAPITOLO DICIOTTO La visione così accordata era una panoramica per rispondere al mio ultimo giorno nel mondo mortale. La marcia di pietre sbozzate, menhir e rygolith mostrava in quelle ininterrotte ombre la schiera di volti impassibili, i ghigni e i sibili dell'oltretomba, denti scoperti per minacciare, lo stuolo infinito di dei radicati e spiriti che si allungavano giù per la china, collina dopo collina, fino a perdersi alla vista, oltre l'immagine di quegli occhi sformati, strizzati. E in quei leali belligeranti, ognuno dei quali nel suo giorno di fama allungò mani fameliche, artigliate, il tocco cremisi della fede in tutte le sue rivendicazioni sul nostro tempo, la nostra vita, i nostri affetti e le nostre paure, non era altro che mistero, qualsiasi riconoscimento dimenticato, abbandonato al lento avanzamento dello spietato cambiamento. Le loro voci perdute cavalcarono quel vento disperato? Io tremai all'eco del sangue implorante, alla lacerazione della carne di giovani vergini e allo stupore di un cuore svelato, agli ultimi confusi battiti di insistente indignazione? Caddi in ginocchio davanti a questa spaventosa successione di sacra tirannia, come farebbe l'ignorante che si acquatta fra le ombre? Gli eserciti dei fedeli se n'erano andati. Marciando via in onde di polvere e cenere. Sacerdoti e sacerdotesse, coloro che avevano ceduto alla speranza e che esprimevano le loro convinzioni con la sete disperata di demoni che raccoglievano anime timorose nel loro personale significato di benessere, restavano accucciati nelle crepe dei loro idoli, pezzetti di fragili ossa incastrate nella fragilità della pietra, quello e niente di più. La visione così accordata è la maledizione dello storico. Infinite lezioni sull'inutilità dei giochi del'intelletto, dell'emozione e della fede. Gli unici storici utili, io sostengo, sono quelli che concludono la loro vita con l'atto conciso del suicidio.
Sesta Nota, Volume II, Raccolta di note suicide Storico Brevis (l'Indeciso)
LIBRO QUARTO Sono andato alla ricerca della morte Tra i resti crollati Nella navata centrale di un tempio Sono andato alla ricerca tra i fiori Annuendo alle parole del vento Tristi racconti di guerra Sono andato tra le fosse di scolo Dove scorre il sangue Dietro alle tende delle donne Tutti i bambini che non sono mai stati
E nella tempesta di ghiaccio e onde Sono andato alla ricerca degli annegati Tra molluschi ossuti e vermi spuntati Dove i granelli turbinavano E ognuno gridava Il suo nome la sua vita il suo smarrimento Sono andato sulle vie della corrente Che mi hanno portato in luoghi sconosciuti
E nelle nebbie silenziose e lontane Dove la luce stessa scivola incerta Sono andato alla ricerca di spiriti saggi Che mormoravano le loro verità in terreni oscuri Ma il muschio era silenzioso, troppo umido Per ricordare la mia ricerca Per scoprire dove i mietitori seminano Tagliando steli per agguantare la stagione Ho fallito nella mia fiera ricerca
Sotto una lama di selce falciante E sdraiato smarrito nell'estate Spogliato mentre il suo caldo carapace Di giovanile promessa veniva cacciato via Nel cielo reliquiario dell'autunno Fino a quando le ossa della notte Erano unghie luccicanti nel freddo Oblio, e l'oscura morte Scese a cercarmi.
Prima di Q'uson Tapi Toc Anaster
CAPITOLO DICIANNOVE La grande cospirazione tra i regni di Saphinand, Bolkando, Ak'ryn e D'rhasilhani, che culminò nella terribile Guerra delle Terre Orientali, fu sotto molti aspetti profondamente ironica. Per cominciare, non c'era stata alcuna cospirazione. La snervante minaccia politica era infatti una falsità, creata e fomentata da potenti interessi economici a Lether; e, bisogna aggiungere, non solo economici. La minaccia di un terribile nemico permise l'imposizione di restrizioni sulla popolazione dell'impero che andarono a tutto vantaggio degli intermediari dell'élite; e li avrebbero sicuramente resi ricchi se non fosse stato per l'accidentale crollo finanziario avvenuto nel momento meno opportuno della storia Letherii. Ad ogni modo, i regni e le nazioni di confine a est non poterono non avvertire l'imminente minaccia, soprattutto con la campagna in corso contro gli Awl nelle pianure settentrionali. Così venne creata una grandiosa alleanza, e coi sopracitati incentivi stranieri, la guerra esplose lungo tutta la frontiera orientale. Associata, non del tutto casualmente, all'invasione punitiva iniziativa sulla costa nordoccidentale, è fuori di dubbio che l'Imperatore Rhulad Sengar si sentisse assediato...
Le ceneri dell'ascesa, Storia di Lether, Volume IV Calasp Hivanar
CAPITOLO VENTI
Noi viviamo nell'attesa Di ciò che è più prezioso: Il nostro dio dagli occhi chiari Che cammina nella desolazione Delle nostre esistenze Con la paglia legata Di una scopa E con un sorriso radioso Questo dio spazza in un angolo La nostra moltitudine di crimini Le sfibrate rimostranze Noi sputiamo sul mattino A ogni levar del sole
Noi viviamo nell'attesa, sì In preziosa quiescenza Le nostre virtù gelate A seminare i semi della perdita Nella terra calda della vita In mano il gelido ferro Di armi E con luminosa ricompensa Bagniamo questo terreno Sotto il cielo sereno Con il sangue del nostro dio Sputato e vomitato Con rigoroso disprezzo.
Il nostro dio in attesa Cormour Fural
CAPITOLO VENTUNO
Indica loro la strada verso la spiaggia, e guardali entrare nel mare. Dai loro tutto ciò di cui hanno bisogno, guardali anelare tutto ciò che vogliono Dona loro la calma pozza delle parole, guardali sguainare la spada. Fai scendere su di loro l'appagamento della pace, guardali desiderare la guerra. Dona loro l'oscurità e loro brameranno la luce. Colpiscili con la morte e ascoltali implorare la vita. Genera la vita e loro uccideranno i tuoi figli. Sii come loro e loro ti vedranno diverso. Mostra saggezza ma tu sei uno sciocco. La spiaggia lascia spazio al mare. E il mare, amici miei, Non sogna voi.
Preghiera Shake
CAPITOLO VENTIDUE
Le ombre giacciono sul campo come morti Della battaglia della notte mentre il sole solleva i suoi stendardi Nell'aria dolce di rugiada
I bambini si levano come fiori sugli steli Per cantare canzoni prive di parole che da tempo abbiamo dimenticato E le api danzano con grande solerzia
Potresti ammirare questo spettacolo con il favore divino Anche mentre posi nella tua mano il peso della spada E lasci vagare lo sguardo per la spianata
E prometti al sole un altro giorno di sangue
Senza Titolo Toc Anaster
CAPITOLO VENTITRE
Ho visto il volto del dolore Guardava lontano Oltre questi ponti Da dove io sono giunto E quelle campate con archi e travatura reticolare Sostengono le nostre vite mentre torniamo indietro A come la pensavamo allora A come pensavamo di pensare allora Ho visto il volto del dolore, Ma è sempre rivolto altrove E le sue parole mi lasciano cieco I suoi occhi mi rendono muto Non capisco che cosa mi dice Non so se obbedire O lasciarmi andare alle lacrime Ho visto il suo volto Lui non piange Lui non mi conosce Poiché io non sono altro che una pietra Del ponte su cui lui cammina
Lai degli Arsori di Ponti Toc il Giovane
CAPITOLO VENTIQUATTRO
Se questi erano i nostri ultimi giorni Se tutti coloro i cui occhi possono guardare dentro Ora passavano di là Chi sarebbe rimasto ad affliggersi?
Mentre abbassiamo la testa Assediati dal fallimento dell'ambizione Gli occhi vedono e sono indifferenti Gli occhi sono testimoni e sono incuranti.
La fredda considerazione delle statue A guardia della perfetta piazza È immutabile come La dolce resa della storia
E solo le creature danzanti Dentro e fuori dalle nostre bocche spalancate Odono il vento gemere La sua voce vuota e svuotata.
Così in questi nostri ultimi giorni La fine di ciò che vediamo è dentro Dove tutto ebbe inizio e non inizierà mai più La tregua di un attimo, poi cade l'oscurità.
La danza invisibile Fisher kel Tath
EPILOGO
Lei attraversò il velo del crepuscolo E giunse a cena Alla Porta della Pazzia.
Dove i vivi giocavano con la morte E si affollavano trionfanti Alla Porta della Pazzia.
Dove i morti beffeggiavano i vivi E raccontavano storie inutili Alla Porta della Pazzia.
Lei giunse per deporre il suo nuovo bambino Là sull'altare macchiato Alla Porta della Pazzia.
«Questo», lei disse, «è ciò che dobbiamo fare, In speranza e umiltà Alla Porta della Pazzia».
E il bambino pianse nella notte Per annunciare l'arrivo Alla Porta della Pazzia.
Ora abbiamo sognato a sufficienza tutto ciò? La nostra promessa di sofferenza Alla Porta della Pazzia?
Abbasserai lo sguardo sul suo nuovo volto E sussurrerai canzoni di dolore Alla Porta della Pazzia?
Prendendo in mano la chiave dentellata Per liberare un futuro spezzato Alla Porta della Pazzia?
Allora racconta al bambino la tua storia inutile Tutti i tuoi giochi con la morte Alla Porta della Pazzia.
Noi che stiamo qui l'abbiamo già sentita Perché questo è l'altro lato Della Porta della Pazzia.
Preghiera del Bambino I Monaci Mascherati di Cabal
Edited by SparklingLu - 11/11/2020, 13:53
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