| PROLOGO
Nota: queste due poesie non sono posizionate ad inizio pagina come tutte le altre, ma sono recitate da Rutt a Held, inframmezzate alla prosa. Ho deciso comunque di inserirle.
Rutt stringe Held L'avvolge con bontà Al sole del mattino E poi si alzerà...
E comincia a camminare In quel mattino Con Held tra le braccia E la sua coda ossuta Striscia Come una lingua Saettante nel sole. La lingua deve essere Lunga Quando cerchi L'acqua Come piace fare al sole...
Per tutto il giorno Rutt abbraccia Held E la tiene Avvolta Nella sua ombra. È difficile Non amare Rutt Ma Held non lo ama E nessuno ama Held Se non Rutt.
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Questa mattina Vedemmo un albero Dalle foglie grigie E quando ci avvicinammo Le foglie volarono via. A mezzogiorno il ragazzo senza nome E con il naso divorato Cadde e non si mosse E anche le foglie caddero Per nutrirsi. Al tramonto ecco un altro albero Le foglie grigie fruscianti Si preparano per la notte E al sorgere del sole Voleranno nuovamente via
LIBRO PRIMO Percorrerò il sentiero da sempre percorso Un passo innanzi a te E un passo indietro Soffocherò nella polvere al tuo passaggio E strillerò ancora di più Tutto ha lo stesso sapore Anche quando fingi altrimenti
Ma qui, sul sentiero da sempre percorso L'anziano mentirà nuovamente a se stesso Possiamo sospirare come re Come imperatrici su biglietti d'auguri Risplendenti di un valore immaginato.
Percorrerò il sentiero da sempre percorso Sebbene il mio tempo sia breve Come se le stelle mi appartenessero Qui, nelle mie mani Dispensando piaceri Che luccicano al sole Mentre fluttuano e si depositano a terra
Per creare questo sentiero da sempre percorso Dietro di te dietro di me Tra i passi del passato, e i passi che verranno Solleva lo sguardo, una volta Prima che io sia svanito
Raccontastorie Fasstan di Kolanse
CAPITOLO UNO
Lo squallore più abietto non è in ciò che il manto rivela, ma in ciò che nasconde.
Re Tehol l'Unico e il Solo di Lether
CAPITOLO DUE
Non venire qui vecchio amico mio Se porti cattivo tempo Ero giù dove scorre il fiume Non correvo più Ricordi il ponte? I frammenti grigi sono ormai scomparsi E disseminati sulla sabbia Non vi è nulla da attraversare Puoi camminare seguendo il flusso dell'acqua Curvando nel suo letto E trovare l'ultimo luogo in cui Il tempo va a morire Se ti vedrò apparire in lontananza Saprò che la tua resurrezione è giunta In lacrime che annegheranno i miei piedi Nel cielo che si fa scuro Cammini come un uomo cieco Le mani che a tentoni cercano Io ti guiderei ma questo fiume Non aspetterà Mi spingerà verso il mare che tutto inghiotte Sotto stormi di bianchi uccelli Non venire qui vecchio amico mio Se porti brutto tempo
Il Ponte del Sole Fisher kel Tath
CAPITOLO TRE
In quell'ultimo giorno il tiranno disse la verità Il figlio che era giunto dal mondo dell'oscurità Ora s'innalzò come uno stendardo davanti alle mura del padre E le fiamme deridevano come celebranti da ogni finestra Migliaia di migliaia di manciate di cenere su quella scena Si dice che il sangue non conservi né memoria né lealtà In quell'ultimo giorno il tiranno vide così una verità Il figlio nacque in una stanza oscura circondato da grida di donna E avanzò in una fortezza oscura lungo corridoi echeggianti dolore Solo per fuggire in una notte priva di luna sotto il velo Del pesante pugno e del volto devastato del suo padrone La procreazione provò a tutti quanti che un'ombra si allunga Solo per poi tornare indietro dal suo catastrofico creatore rendendo sempre Più profondo il suo desiderio e tale verità è palese quanto è nebulosa Tiranni e santi devono cadere allo stesso modo Nel loro ultimo respiro rapito dall'ombra Nel loro riposo finale dove la verità li tiene prigionieri Su un letto di pietre.
Il sole arriva lontano Restlo Faran
CAPITOLO QUATTRO
Guardate quei festosi divoratori La terra una distesa argentea di Candelieri di scintillante peltro E i tronchi abbattuti e rotolanti Per aprire strade attraverso la foresta Che un tempo esisteva, prima che i tronchi Venissero abbattuti - La chiamavamo la strada dei ceppi e La chiamavamo strada della foresta quando La nostra immaginazione moriva di fame Puoi creare dei ventagli con le costole Di pecora e bisacce per le cianfrusaglie Pestando fino ad appiattire le spighe Di piante vecchie - Vecchie è meglio perché la spiga cresce, Si dice, per sempre, anche quando Non c'è nemmeno un avanzo da mangiare E così ci portiamo il benessere in bisacce a penzoloni Rugose e pelose, con diamanti e pietre preziose A sufficienza da comprare una foresta o una strada Ma forse non entrambe A sufficienza persino per babbucce Della pelle più morbida e imbottite di piuma Morbide come la guancia di un neonato C'è un segreto che conosciamo Quando non resta altro E il cielo ferma le sue lacrime Una pancia può riempirsi e gonfiarsi Di diamanti e pietre preziose E una foresta può creare una strada Attraverso ciò che era un tempo Solo che non vi troverai ombra.
I pendoli un tempo erano giocattoli Badalle di Korbanse Snake
CAPITOLO CINQUE
Il pittore deve essere muto Lo scultore sordo I talenti sono morti Uno dopo l'altro Come tutti sanno Oh, lasciate che si dilettino Guardiamoli con indulgenza Non c'è fine al nostro talento Per tollerare Ma i talenti sono morti Uno dopo l'altro Ve ne consentiamo uno Che meriti i nostri elogi Il resto forse servirà In modo funzionale Ma la grandezza? Quello è un titolo morto Individualmente Non siate avidi Non mettete alla prova la nostra indulgenza Il permesso Appartiene a noi Al di là del muro improvvisato - I mattoni del nostro Ragionevole scetticismo.
Un poema di aiuto Astattle Pohm
CAPITOLO SEI
Lo scarabeo che avanza lentamente non ha niente da temere.
Detto Saphii
LIBRO SECONDO Ho sentito la storia Di un fiume Che si trova dove l'acqua scorre sopra la terra Scintillante nel sole È una leggenda Ed è menzognera Nella storia l'acqua è trasparente ed è per questo Che è menzognera Tutti sappiamo Che l'acqua È il colore Del sangue Gli uomini inventano leggende Per insegnare lezioni Così io credo Che la storia sia su di noi Su un fiume di sangue E un giorno Noi saremo trasparenti
Di un fiume Badalle
CAPITOLO SETTE
Le orride creature sgomitano in riga Una fila di scudi e una fila di volti dipinti Hanno marciato fuori dalla mia bocca Come hanno l'abitudine di fare i carnefici Quando nessuno sembrava impegnato come loro Con le loro preziose bandiere e gli stendardi E con la musica per avanzare a tempo Come hanno l'abitudine di fare i virtuosi Ora vedo tutte quelle armi scintillanti bramose Di scontrarsi nella discordia di un'attonita intesa Cieche come millepiedi nel fango Come le parole tra amanti Nelle torbide profondità i cigni scivolano come foche Scalando le pareti di ghiaccio della gelida prigione Tutto quello che sogniamo è privo di catene
Confessioni del Condannato Banathos di Rosa Blu
CAPITOLO OTTO In seguito al mio studio di una vita sulle molteplici specie di formiche che vivono nelle foreste tropicali di Dal Hon, sono giunto alla conclusione che tutte le forme di vita sono impegnate in una lotta per la sopravvivenza, e che in ogni specie esiste una serie di inclinazioni naturali ma variabili, di condizioni fisiche e di comportamento, che a turno intervengono in favore o contro nella battaglia per la sopravvivenza e la procreazione. Inoltre, sono incline a pensare che nell'atto della procreazione, tali tratti vengano trasmessi. Per estensione, si può dire che tratti negativi riducono le probabilità di sopravvivenza e di procreazione. Sulla base di questi concetti, desidero proporre ai miei saggi colleghi riuniti in questa nobile assemblea una legge di sopravvivenza che riguardi tutte le forme di vita. Ma prima di farlo, devo avanzare un'ulteriore precisazione, desunta dalle indiscusse caratteristiche comportamentali delle, nel mio caso specifico, formiche. Il successo di una forma di vita spesso dà il via a un devastante crollo della popolazione tra gli avversari e, a volte, alla conseguente estinzione. E tale annientamento di rivali può essere una definita caratteristica di successo. Pertanto, cari colleghi, vorrei proporre una modalità di funzionamento tra tutte le forme di vita, che nel mio trattato in quattro volumi ho umilmente chiamato Il tradimento del più adatto.
Rotoli ossessivi Programma del sesto giorno Indirizzo di Skavat Gill Unta, Impero Malazan, 1097 del Sonno di Burn
CAPITOLO NOVE
Laggiù oltre i prati spettinati dal vento Nella sensuale ansa del fiume C'era una pozza poco distante Nella pace lontana dagli impeti Dove nemmeno le canne ondeggiano La natura non perde tempo a proteggere il nostro bisogno Di infinita contemplazione Ogni rifugio è limitato L'astuta sabbia afferra L'ancora e persino i passi Oltre l'ansa le correnti rallentano In bagnate risate dove una giubba sbiadita Avvolge le spalle di un ramo spezzato Questi sono i pericoli che potrei scorgere Sporgendomi in avanti se lo sforzo non si rivelasse Così gravoso ma quel colletto cencioso Non copre alcun pallido petto Questa camicia riveste il fiume di schiuma E apatici stracci fluenti Ben presto abbandonai il difficile riposo E fluttuai giù in cerca di stivali Pieni di ciottoli poiché ogni uomo ha bisogno Di un luogo su cui stare.
Resti di stracci Fisher
CAPITOLO DIECI
Esiste qualcosa di più inutile delle scuse?
Imperatore Kellanved
CAPITOLO UNDICI Nei primi cinque anni del regno di Re Tehol il Solo, non ci furono tentati assassini, insurrezioni, cospirazioni di portata tale da mettere a repentaglio la corona; non vi furono conflitti con i regni vicini o con le tribù di confine. Il regno era ricco, la giustizia prevaleva, la gente comune viveva nella prosperità e nella stabilità. Il fatto che tutto ciò fosse stato raggiunto con una manciata di semplici proclami ed editti rendeva la situazione ancora più eccezionale. Inutile dirlo, l'insoddisfazione tormentava Lether. La tristezza si diffondeva come la peste. Nessuno era felice, l?elenco delle lamentele, che accadeva di sentire nelle strade affollate, cresceva di giorno in giorno. Ovviamente, era necessario fare qualcosa...
Vita di Tehol Janath
CAPITOLO DODICI
Il mare è cieco alla strada E la strada è cieca alla pioggia La strada non accoglie i passi I ciechi sono un'inondazione dell'oceano Sulla riva della strada Camminate allora non visti Come bambini con le mani tese Giù per vallate di accecante oscurità La strada conduce giù attraverso ombre Di divinità piangenti Questo mare non conosce che una marea Nelle stanze profonde del dolore Il mare è la riva della strada E la strada è il fiume del mare Per il cieco Quando odo i primi passi So che è giunta la fine E la pioggia si leverà Come bambini con le mani Tese
Io sono la strada che rifugge il sole E la strada è cieca al mare E il mare è cieco alla riva E la costa è cieca Al mare Il mare è cieco...
Indovinello della Strada di Gallan Canto Shake
LIBRO TERZO I morti mi hanno trovato nei miei sogni A pescare su laghi e in strane case Che potevano essere dimore per famiglie perdute Nei piaceri della completezza E io vago in loro compagnia Nel dolce conforto dell'appagamento. I morti mi accolgono con avveduto sollievo E non si curano del risveglio tradito Che mi abbandona in questa nuova solitudine Di occhi che guizzano e sipari che si aprono. Quando i morti mi trovano nei miei sogni Li vedo vivere nei luoghi nascosti Non ancorati nel tempo e privi di età come i desideri. La donna sdraiata al mio fianco ode il mio sospiro Dopo le campane del mattino e mi pone domande Mentre io giaccio sulla scia di quel concerto di sofferenza, Ma non parlerà della solitudine della vita O delle vuote spiagge su cui i pescatori sono di casa E delle case mai abitate e che mai lo saranno Che si susseguono in necessarie configurazioni Per costruire per noi luoghi familiari per i nostri morti. Un giorno viaggerò nei suoi sogni Ma non dico niente al di là del mio sorriso E lei mi vedrà cacciare sulle acque scure Inseguendo il guizzo della trota e viaggeremo In terre sconosciute nell'istante eterno Fino a quando lei mi lascerà per il giorno che vive Ma come i morti ben sanno l'arte della pesca Trova la sua ricompensa nella gioiosa speranza E nell'eterna pazienza dell'amore, e ora io credo Che gli dei che esistono Siano creatori dei sogni e questo è il loro dono Questo fiume benedetto di sonno e sogni Dove con meraviglia accogliamo i nostri morti E i sapienti e i sacerdoti sono saggi quando affermano Che la morte non è che un sonno e noi siamo per sempre vivi Nei sogni di chi vive, poiché ho visto I miei morti in viaggi notturni e vi dico questo: Stanno bene.
Canzone dei sogni Fisher
CAPITOLO TREDICI Giunsero in ritardo nella terra vuota e guardarono con astio i sei lupi che li fissavano dall'orizzonte. Con loro c'era un gregge di capre e una dozzina di pecore nere. Non presero in considerazione il diritto al possesso di quel luogo da parte dei lupi, poiché nelle loro menti la proprietà era la corona umana che nessun altro aveva il diritto di indossare. Le bestie erano contente di condividere, nella lotta alla sopravvivenza, la caccia e il bottino, e capre e pecore avevano morbide gole e l'imprudenza era piuttosto comune tra i greggi; e i lupi non avevano ancora imparato i modi di quegli intrusi a due zampe. Mandrie e greggi costituivano il cibo per molte creature. Spesso i lupi condividevano i loro pasti con corvi e coyote, e capitava che si scontrassero con gli orsi per vincere un premio allettante. Quando mi imbattei nei pastori e nella loro capanna nel pianoro, vidi sei teschi di lupo infilzati sopra la porta. Dai miei viaggi di menestrello avevo imparato a sufficienza per non avere bisogno di chiedere, dopotutto, quella era una storia intessuta in noi. Nessun commento, nemmeno per le pelli di orso sulle pareti, quelle di antilope e i palchi d'alce. Non un sopracciglio si sollevò per il mucchio di ossa di bhederin nella buca dei rifiuti, o per gli avvoltoi uccisi dalla carne avvelenata lasciata per i coyote. Quella notte cantai e imbastii racconti per il mio sostentamento. Canzoni di eroi e grandi gesta e loro erano soddisfatti e la birra scorreva e lo stinco cuoceva a fuoco a lento e il profumo era gradevole. I poeti sono creature mutevoli, capaci di scivolare nella pelle di un uomo, di una donna, di un bambino e di un animale. Alcuni tra di loro sono segretamente segnati, destinati ai culti di tutto ciò che è selvaggio. E quella notte condivisi il mio veleno e al mattino lasciai una casa priva di vita dove non restava da piangere nemmeno un cane, e mi sedetti sulla sommità di una collina con il mio flauto, e chiamai a me le bestie selvagge. Io difendo il loro diritto alla proprietà quando loro non possono, e non avanzo alcuna difesa contro le accuse di omicidio; ma moderate il vostro orrore, cari amici: non esiste una legge universale che ponga maggior valore alla vita umana rispetto a quella di animali selvatici. Perché mai avete sempre pensato il contrario?
Confessioni di duecentoventitre Consiglieri di giustizia Welthan il Menestrello (altrimenti detto il Cantante Folle)
CAPITOLO QUATTORDICI
Ribaltate questo folle e oscuro attacco Tutti voi che un tempo conoscevo, impigliati come mosche Nella rete immobile di giorni ormai andati Sorgete dalla fresca schiuma bianca A dispetto del mio tuffo nel mare Ululate contro la mia folle corsa e questi selvaggi Occhi ardenti, ma odo la chiamata Di come un tempo era la vita e quanto calore Nello stridio soffocato di locuste impegnate a sfregare Gli alti fili d'erba del cammino di un bambino E l'estate era infinita I giorni rifiutavano di spegnersi e io giocavo Selvaggio e guerriero, l'eroico artiglio Sul quale i mondi beccheggiavano e oscillavano Blu come giovane ferro e questi venti di mare Ancora non soffiavano e non affondavano i corrosivi denti Nella mia schiena impassibile e nel mio torace rigido Capaci di prendere su di loro il peso dorato Di migliaia di destini Dove siete ora, miei levigati volti Di quelle estati colme di sospiri Di quando noi dei governavamo ferocemente Il mondo selvaggio? Gusci vuoti che si rivoltano Contro fili di seta stanca perduta nella mia scia, E voi che correte con me in questa disordinata Fuga, questo attacco che non possiamo ribaltare E il sole che ci aspetta, aspetta con la sua Promessa di dissoluzione, lo sfilacciarsi Di giorni di gioventù, gli artigli spezzati, il torace Sgonfio, le estati sospinte alla deriva, ora, E per sempre.
Lamento dell'Artiglio Spezzato Fisher
CAPITOLO QUINDICI
Gli uomini non conosceranno il rimorso Non possono negare, non possono fuggire. Accecate gli dei e aggiustate le loro bilance Con catene e tirateli giù Come le verità che odiamo. Rimuginiamo davanti alle ossa Di sconosciuti e pensiamo al mondo Quando loro danzavano liberi da noi Tempo fa e ora siamo diversi. Ma anche parlare degli uomini e delle donne che eravamo, alletta gli spiriti turbinanti delle nostre vittime e così non andrà mentre facciamo tesoro della pace e della calma della simulazione, quali crudeli armi della natura e del tempo si sono abbattuti su tutti questi stranieri di tempi passati, quando noi eravamo testimoni compiaciuti? Abbiamo schivato le lance della Sfortuna dove loro inciamparono Troppo maldestri e assolutamente Inferiori, e troverete le loro ossa In grotte di montagna e sui letti dei fiumi, nei crepacci dei ragni bianchi sopra spiagge bianche, in rifugi di roccia nella foresta e in mille altri luoghi, così tante che non uno solo, può essere il responsabile; ma molte sono le armi della natura, e la vivace occhiata dei nostri occhi mentre loro scivolano via, forse mormorano, a un orecchio attento, all'ombra sempre presente dietro a quelle morti, ma come, quelli saremmo noi, silenziosi nel rimorso, indegni beneficiari del dono solitario che non ci lascia altro se non le ossa di sconosciuti da fare girare e rotolare nelle nostre discussioni. Nel riposo sono mute ma Ancora sgradite, poiché parlano Come solo le ossa possono parlare, ma noi Continueremo a non ascoltare. Mostrami Le ossa di sconosciuti e piombo nello sconforto.
Lamento indesiderato Gedesp, Primo Impero
CAPITOLO SEDICI
Seminatore di parole esci dall'avida ombra I semi nella tua scia bevono il sole E le radici esplodono dalle loro cortecce - Tu hai creato questa landa selvaggia, Un caos verde troppo reale da poter tollerare Le tue parole svelano il cammino e cancellano le tracce Con tronchi su tronchi e il futuro è perduto Al mondo delle possibilità che tu hai nutrito In quell'avida ombra, seminatore di parole Presta attenzione alla loro verità, poiché non hanno bisogno D'altro se non di una pioggia di lacrime e della luce del giorno.
Il sollievo dell'ombra (semplici parole) Bevela Delik
CAPITOLO DICIASSETTE
"Ho raggiunto un'età per la quale gioventù è bellezza". Breve raccolta di pensieri orribili (interludio)
Follia di Gothos
CAPITOLO DICIOTTO
Ciò che ti nutre è lacerato Dagli artigli del tuo bisogno. Ma il bisogno dimora per metà nella luce E metà nell'oscurità. E la virtù si rifugia nella cucitura. Se il bisogno è la vita Allora sofferenza e morte hanno un senso. Ma se parliamo di voglia e meschino desiderio La cucitura si rifugia nell'oscurità E nessuna virtù riesce a opporsi. Necessità e desideri creano un mondo grigio. Ma la natura non concede privilegi. E ciò che è virtuoso si nutrirà Presto con gli artigli Del tuo bisogno, come chiede la vita.
Qualità di vita Saegen
LIBRO QUARTO Quando la tua penitenza sarà finita Vieni a cercarmi Quando tutti i giudizi ricoperti di pietra Avranno girato il viso Cerca il ruscello sotto pergolati e fili Di meravigliose perle Giù tra le pieghe di colline sacre Tra gli olmi Dove animali e uccelli trovano riparo Vieni a cercarmi Sono nascosto nell'erba mai calpestata Da cavalieri dal cuore infranto E fratelli di re Non una sola radice è stata strappata Nella tremolante sofferenza del bardo Cerca ciò che viene donato liberamente Vieni a cercarmi Nella scia della fuga oscura dell'inverno E prendi quello che vuoi Di questi boccioli I miei colori restano in attesa di te E di nessun altro
Vieni a cercarmi Fisher
CAPITOLO DICIANNOVE
Nella fuga Dal nemico invisibile Udii i vuoti orrori Della misera preda Raccogliemmo i nostri sussulti Per creare una canzone E che gli ultimi passi siano una danza! Prima che le lance colpiscano E le spade affondino Correremo con torce E disegneremo la notte Con sature indulgenze Le nostre preziose ghirlande Suscitano risate per affogare Il massacro nelle stalle Dello zoppo e del povero. Intreccia le mani e lanciati verso il cielo! Nessuno udirà i terribili Gemiti dei sofferenti Né sfiorerà con punte Luccicanti guance dolenti Su volti immobili Fuggiamo ebbri di gioia - Il nemico invisibile si avvicina Dietro e davanti E nessuno raccoglierà La chiamata di questo messaggero Poiché fino a quando saremo capaci Di percorrere questi cerchi perfetti Confonderemo i destini Di voi arguti assassini! Io sono con te!
Nemico invisibile Eflit Tarn
CAPITOLO VENTI
Lascia che il sole scaldi il giorno. Se la luce abbraccia i colori Allora ciò che è unito è puro E libero dal compromesso. Cammina sulla pietra della terra Con le sue criniere come gatti distesi in attesa Mentre il vento scivola leggero E ti accarezza Gli occhi.
Lascia che il sole scaldi questo giorno Armato contro ogni discussione Solido nella sua convinzione. I colori non ingannano E la macchia non nasconde alcun desiderio Di afferrare quelle masse grigie nel cielo All'orizzonte Dove ogni passo è bilanciato Alla nascita del giorno.
Svegliati al calore del sole. Conosceva altri amori passati E rubò tutti i colori Delle promesse eterne. La polvere fluttua verso la vita Solo nell'oro della luce. Confida in ciò che non è nuovo Poiché anche ciò che è nuovo è vecchio E consumato dal peso.
Lascia che il sole dia vita al giorno. Hai già camminato in questa direzione Tra cacciatori nelle praterie E amanti della morte che affollavano i cieli. Gli eserciti si sono rincorsi; i cavalieri sono comparsi sul crinale. Fanciulle e cortigiani dimorano In ombre perfette del futuro Fino a quando ciò che è smarrito tornerà.
Lai dell'amore ferito Fisher
CAPITOLO VENTUNO
Ascoltate adesso, questi sono gli incantesimi E io assisterò al dispiegamento del vostro piacere Saranno in una dozzina ad affollare la vostra tomba Potrete leggere i morti in dodici volti E i mesi invernali sono molto lunghi
Gli scudi sono ridotti in minuscole schegge I rintocchi della guerra non saranno mai giusti I folli si agitano nella cripta contando le tacche E la neve copre tutte le tracce di sepoltura Mentre i corvi solcano il cielo color dell'inchiostro
I bambini gattonano in prima linea Con le braccia paffute a contrastare il male Gli elmi ondeggiano sbilenchi in mezzo ai tumulti E il sangue più rosso è quello appena versato Attorno al pozzo gonfio e malsano
I cadaveri si rallegrano in solitaria compagnia Le pareti della tomba risuonano del suono della tromba Assurta a trionfo ed elemento di gloria Mentre i caduti sono raggruppati insieme sotto terra Ogni anno la primavera muore per poi rinascere
Ascoltate adesso, questi sono gli incantesimi La storia è stata scritta per i corvi Da bambini con le labbra rosse e gli occhi ammiccanti Sull'estremità della loro lingua E sembra che l'estate non avrà mai fine
Saluto alla Stagione della Guerra Gallan
CAPITOLO VENTIDUE
È la pazienza antica Sdraiata a pancia in giù Sul fango lungo la costa di liane. Tutti devono attraversare Fiumi in piena. Boccioli sgargianti fluttuano trascinati dalla corrente verso le sinuose mangrovie che proteggono il mare calmo. Ma niente scivola dolcemente Nelle acque turbinose A caccia della loro audace bellezza. Noi girovaghiamo a disagio sulla riva In attesa dei parossismi Della necessità, l'improvvisa fretta Di tuffarsi nel futuro. I fiumi in piena Sognano passaggi rossi E le lucertole si nutriranno Come hanno sempre fatto. Facciamo affidamento sulla moltitudine, il caotico tumulto, il frenetico cammino sulla schiena di persone care, padri e madri, i calami che disegnano elenchi di vite: questa posizione solida, quel scivolamento del desiderio. La pazienza antica gonfia La lingua, tutti i nomi Scritti in mandibole affollate di denti - Ci solleviamo, ci arrampichiamo Gli occhi spalancati e la costa lontana Ci chiama, quel futuro frastagliato Tiene un posto in attesa per noi. Ma il fiume rotola giù violento Nella sua stagione rabbiosa E le lucertole sguazzano beate Al sole del tardo pomeriggio. Guardami sono nell'ombra del Loro pigro sguardo, e Ora attendo con loro, l'arrivo delle piogge
La stagione delle Inondazioni Gamas Enictedon
CAPITOLO VENTITRE
Io sono il volto che non vorresti Anche se ti ritagli un posto Nascosto tra la folla
Miei sono i lineamenti che non vuoi vedere Mentre accatasti le tue esili giornate Nell'attimo che si insegue
La mia legione è inattesa Una foresta divenuta alberi di nave Steli d'erba, spade
E questo è il volto che non vorresti Un fratello con brutte notizie Nascosto tra la folla
Harbinger Fisher
CAPITOLO VENTIQUATTRO All'alba si misero in fila lungo le rive del fiume antico, un'intera città, quasi in centomila, mentre il sole saliva a est dell'imboccatura che si apriva nella baia profonda. Che cosa li aveva portati lì? Che cosa porta le moltitudini a un dato momento, in un dato luogo, in un dato istante in cui centomila corpi diventano un solo corpo? Mentre le acque rosse si riversavano nelle lacrime salate della baia, loro stavano in piedi, immobili, senza parlare, e le fiamme abbracciarono la grande pira galleggiante e il vento abbracciò le vele inzuppate e il cielo abbracciò la nera colonna di fumo. Il grande re di Ehrlitan era morto, l'ultimo dei Dessimb, e il futuro soffiava sabbia, il sussurro del vento non era che un ruggito di lotta reso pietoso dalla distanza, una promessa che si avvicinava minacciosa. Erano giunti per piangere. Erano giunti a cercare la salvezza, poiché alla fine, anche il dolore maschera una debolezza egoista. Nella nostra vita piangiamo per ciò che perdiamo, per i mondi che non sono più. Un grande uomo era morto, ma non possiamo seguirlo, non osiamo, poiché per ognuno di noi la morte trova un nuovo cammino. Un'epoca era morta. Una nuova epoca apparteneva alle generazioni future. Sulle bancarelle del mercato i vasai avevano impilato ciotole riportanti l'effige del re defunto, insieme a scene delle sue passate glorie, immagini ormai immortali, per sempre al di fuori del tempo. E quello era il vero desiderio delle moltitudini. Fermatevi. Fermatevi adesso. Pregate affinché questo giorno non conosca fine. Pregate le ceneri disperse per sempre. Pregate che il domani non giunga mai. È un desiderio naturale, un desiderio sincero. La storia muore, ma questa morte impiegherà del tempo. Si dice che il re indugiò, là, con il fiato corto. E la gente ogni giorno si radunava alle porte del palazzo, per piangere, per sognare altre fini, per sognare destini negati. La storia muore, ma questa morte impiegherà del tempo. E la lingua rossa del fiume scorre senza fine. E lo spirito del re disse: Vi vedo. Vi vedo tutti. Non riesci a sentirlo? Lo senti ancora?
Morte dell'Età Dorata Thenys Bule
Edited by SparklingLu - 19/11/2020, 18:33
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